La stanchezza. E’ una parola che non mi piace. Forse mi ricorda immediatamente episodi che non ho ancora imparato a considerare una tappa, nel bene e nel male, della mia storia. Una delle tante, ma pur sempre una tappa. C’è la stanchezza di cui ti accorgi, e quella di cui non ti accorgi, per la quale fai cose come se fossi (perchè lo credi) al pieno delle tue facoltà, e invece stai facendo altro rispetto a quello che faresti se fossi sveglio e riposato. E’ pur sempre quella percentuale di vita che crediamo di poter controllare, credendo di avere il pieno raziocinio di ogni nostra azione, e che invece ci fa prendere decisioni affrettate, sbagliate, parziali. Prima di ogni decisione bisognerebbe valutare le alternative sia a notte fonda che al mattino appena svegli e riposati. L’ondeggiare della vita tra stati opposti che ci affliggono e mettono in luce lati di noi oscuri oppure solari: trovo difficile pensare che anche questo sia umano, e che faccia parte del gioco. Con il destino non si scherza, quello scritto nelle nostre azioni meccaniche, spontanee, quasi come i muscoli involontari che presiedono al battito cardiaco. Un gioco di scatole cinesi: forse anche la “stanchezza che fa decidere diversamente” è un ingranaggio del Grande Gioco.
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