domenica 11 agosto 2013
Augùri, àuguri, auspìci, arùspici
Gli augùri. Che cosa auguriamo agli altri? Tanti augùri. Ripenso a questa formula. Esprime un sentimento: spero che ti succeda qualcosa di bello. Vorrei scrivere: come possiamo sapere che cosa è meglio per gli altri? ma mi sembra voler cercare a tutti i costi qualcosa di negativo in una frase che, tutto sommato, per quanto usata senza pensarci, magari può riservare delle sorprese. E’ come un regalo impacchettato: a forza di dire queste parole, magari ci si accorge del contenuto: si decide di scartare il pacchetto, e si scopre "qualcosa di bello". Sposto un accento. Gli àuguri. Sacerdoti dell’antica Roma, ma già conosciuti da etruschi e greci. Che cosa facevano, questi sacerdoti: traevano gli auspici, osservando il volo degli uccelli, ad esempio. C’erano due tipi diversi di àuguri: quelli privati, per le faccende familiari, e quelli pubblici, consultati dai giudici prima di emettere un editto. A me capita di osservare il volo degli uccelli. Soprattutto certe sere, che a stormi come nuvole si allontanano dalla città, verso non so dove. Questo meraviglioso volo in sincrono, che a fotografarlo non renderebbe mai il vederlo di persona. Che cosa mi àuguro, guardando il volo in sincrono degli uccelli migratori?
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