domenica 23 febbraio 2014
15 minuti di cartoline
Progetto MAIL ART MCA
Camo & Friends #1
In this year of activity we have tried to give an answer to the question whether art and culture could become a vehicle for stable relationships , opportunities to meet real and human growth.
At this year's Art activity (more than 70 works on permanent display) Culture ( lectures and conferences) Music (dj - concerts) Side Events (# McaOff, the Time Capsule) Cuisine (walking * cooking day) have accompanied us on this wonderful adventure!
After a year of satisfaction we can answer the initial question with a positive YES!
At this point we thought about what could be the best way to celebrate this important result. We wondered what could be the best way to communicate with artists around the world and also what was the criterion more honest to make a work of art really unique and free .
A recent and exciting meeting we suggested the MAIL ART ! The postcard ! One of the oldest art movements in history. Art shared without juries or commercial aspects , where the message is sent at the same time the means by which it is delivered! The project "Mail Art M.C.A. CAMO & FRIENDS #1" has this starting point! With this project we want to " pay homage " everything that we have today in our hands and that we want to cultivate with care!
P-Ars 2014
www.p-ars.com
sabato 22 febbraio 2014
Scarafaggi | Compagnia ZeropalcO @ K-Hole Teater starts February 27, 2014 at 09:30PM
K-HOLE TEATER. TUTTI I GIOVEDI’ dal 21 Gennaio una nuova rassegna dedicata alle PERFORMING ARTS e al TEATRO INDIPENDENTE. In collaborazione con P-Ars Andrea Roccioletti Studio Ingresso gratuito per i soci MSP (costo tessera 4 euro) Uscita...a cappello! K-HOLE Art Social Club | via S.Agostino 17 | Quadrilatero Torino http://ift.tt/1dhfUZG GIOVEDI' 27 FEBBRAIO ORE 21.30 SCARAFAGGI Compagnia ZeropalcO Scritto da: Marco Bileddo Regia di: Nancy Citro e Margherita Demichelis Attori: Giulia Berto Valentina Cesano Nancy Citro Luca Torri Federico Zittino Video realizzato da Tommaso Schiuma “La libertà è potere pensare liberamente alla libertà.” “Scarafaggi” è un’idea nata da una sceneggiatura scritta dal regista e attore palermitano Marco Bileddo, che con la Compagnia Stiamo Stretti porta in scena per la prima volta la sua opera all’interno del Festival Teatriamo, organizzanto dalla Provincia di Matera, vincendo in quell’occasione il premio per la miglior regia. Oggi riportiamo in scena, con una regia diversa, la stessa opera modificata parzialmente nel testo ma che non risulta snaturato né nell’intenzione né tantomeno nella forza del messaggio. Ma chi sono gli scarafaggi? Gli scarafaggi sono tutte quelle persone che vengono calpestate nei propri diritti. Gli scarafaggi sono coloro che subiscono gli altri e le loro decisioni, o per arrendevolezza o per condizione sociale. Gli scarafaggi sono quelli che vendono la propria autenticità al miglior offerente ma soprattutto gli scarafaggi sono coloro a cui viene negata la libertà. La libertà di essere, di pensare, di opporsi, di parlare, di urlare. Ed infatti quello che si vuole fare con “Scarafaggi” è proprio urlare contro lo sguardo superficiale e sfuocato che accomuna, sempre di più, gli occhi di una società che ha cancellato gli orizzonti. Scarafaggi è un urlo contro la massa che non riesce più ad essere critica, quella massa miope che non sembra guardare al futuro ma che pensa solo all’oggi, distruggendo il proprio domani e quello degli altri.
via IFTTT
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giovedì 20 febbraio 2014
martedì 18 febbraio 2014
La Bella Informazione Addormentata e i 7 Nani
Mi leggi
una favola? La Bella Informazione Addormentata e i 7 Nani
ovvero Chi ci comanda sa bene come girare a suo
favore il nostro naturale egoismo.
Chi ha giocato con i Lego da bambino (oppure ci gioca
ancora adesso, e sarebbe un capitolo interessante da aprire, ma rimandiamo) conosce
molto bene quella sensazione del preciso istante in cui, aperto il barilotto di
plastica che contiene i mattoncini, lo si svuota a terra, sparpagliando tutti i
pezzi, con buona pace dei condomini del piano di sotto, che a quest’ora
dormiranno. Le energie della creazione sono sempre all’opera, e non si curano
delle rimostranze altrui nella prossima assemblea condominiale.
Questo mio pezzo procederà più o meno allo stesso
modo. Svuoto il barilotto del lego
(dal latino: “delego, affido”), e vediamo che cosa si può fare con i mattoncini
che ne vengono fuori. Ho una serie di elementi, di considerazioni al loro stato
embrionale, vorrei con cautela provare ad accostare le une alle altre, scoprire
se possono convivere e germogliare, se poste nello stesso habitat. Diversamente
non saprei come affrontare la questione, che ha mille sfaccettature e non basta
certo una testa sola per farci un giro intorno e prenderle adeguatamente le
misure.
Si parla di informazione.
Non di testate giornalistiche oppure di telegiornali,
bensì del concetto di informazione al suo stato più elementare: un pacchetto di
dati, se vogliamo restare sulla metafora di cui prima: un mattoncino.
Lavorando come organizzatore per varie compagnie
teatrali, ho avuto a che fare con il mattoncino-informazione: ho sperimentato
varie tecniche per cercarlo, maneggiarlo, diffonderlo, scambiarlo. Nello
specifico, vorrei scrivere non di quell’informazone diretta al pubblico (e delle
sue millemila mirabolanti trovate per farsi notare) nè di quella interna alla
compagnia stessa (e dei processi creativi
dei creativi, di come gli artisti
elaborino e si scambino informazioni). Mattoncini interessanti, altrettanto
interessante l’informazione come risorsa: ad esempio quali bandi sono stati
pubblicati, quali teatri cercano spettacoli, insomma un’informazione che
definirei economica-politica, secondo
un’etimologia antichissima che sembra aver molto poco a che fare con le
contemporanee accezioni del termine.
Siparietto.
Un bel giorno, cercando in Rete, trovo notizia di un
bando per l’assegnazione di fondi a compagnie teatrali che hanno nei loro
programmi artistici temi legati alle questioni di genere. Bene: copio
indirizzo, apro facebook, incollo indirizzo, e segnalo il link ai miei
contatti, casomai ci fosse qualcuno interessato.
Un minuto dopo squilla il telefono.
E’ uno degli attori della compagnia teatrale per la
quale lavoro. E’ arrabbiato.
“Ho visto che hai messo quel link.” mi dice “Non si fa!”
“E perchè?” gli chiedo.
“Perchè gli altri rubano l’idea.”
Non c’è esattamente un’idea da rubare, ma il concetto è chiaro: se diffondi quel link
anche altri parteciperanno al bando, dunque ci sarà più concorrenza, e quindi
meno probabilità di vincere.
Non fa una piega.
Nell’economia dell’informazione questo tipo di
mattoncini hanno un valore reale, quasi monetario, sono una risorsa. Il
turbocapitalismo si è esteso anche all’immateriale, nella sua ultima mutazione,
avendone riconosciuto il valore economico.
Alcuni sostengono che capitalizzare (anche) l’informazione
vada, alla lunga, comunque a vantaggio del progresso, del benessere, e di
tutti. Altri, che questa è una bella illusione, e che sarebbe più conveniente
invece: condividere.
In quell’occasione, all’obiezione che mi era stata
mossa, non sapevo bene che cosa rispondere. Ingenuamente umanitaristico il mio
atteggiamento? La storia sembrava dar ragione a loro, ai membri delle
compagnie: tieniti ben stretto quello che sai, il tuo mattoncino-informazione,
che altrimenti la concorrenza ne
approfitterà. Pochissimi, nella mia carriera
di organizzatore, hanno ricambiato il favore, condividendo informazioni come
invece provavo a fare io.
Però, in fondo, dietro agli altrui rimproveri per
quel mio comportamento troppo ingenuo, c’era una nota stonata. Qualcosa non mi
tornava.
Che i pensieri che ho raccolto qui di seguito siano
un elaborato sistema per dare una giustificazione ad un mio atteggiamento innazitutto
mentale: è un sospetto più che legittimo. Sta di fatto che ora ho qualche
argomento per controbattere.
E, colpo di scena, anticiperò la conclusione.
La competizione (concorrenza) sana (cioè che produce
bellezza, occasioni di crescita, valori senza fare del male a nessuno, senza
svilire nessuno nel suo ruolo) è quella che si svolge sul-palco, e non giù-dal-palco.
Vale per il teatro, ma può essere metafora di molto altro. Sul-palco significa:
nell’occasione in cui l’arte è messa di fronte ai suoi spettatori. Vale anche
per un concerto, per una mostra d’arte. Giù-dal-palco rappresenta invece tutto
quello che si svolge intorno all’evento in sè: la sua organizzazione, le
risorse necessarie per metterlo in piedi, le competenze, le informazioni su
come trovare spazi e canali per diffondere notizia al pubblico, e via dicendo. Sarebbe
più vantaggioso per tutti che giù-dal-palco ci fosse libera circolazione delle
informazioni, dei contatti e delle competenze. E che fosse invece, e solamente,
ciò che accade sul-palco a stabilire chi sia il migliore, chi abbia prodotto
qualità.
Ho anche la sensazione che giù-dal-palco sia molto
facile giocare sporco, cioè competere in modo sleale (si possono, ad esempio,
diffondere mattoncini-informazione errati, per danneggiare la concorrenza), mentre sul-palco, alla
prova del pubblico, l’arte sia l’unica arma che si possa usare per dare ragione
di sè.
I nani da giardino sono di pessimo gusto.
Perchè sopravvivono al tempo, e dietro al cancello di
qualche villetta fanno capolino e ancora bella mostra di sè? Per rendere
traghettabile verso il futuro la tradizione popolare europea, che i fratelli Grimm nel 1812 avevano reso
accessibile in una prima raccolta di storie, c’è voluta la Disney.
Primo nano: Gongolo
ovvero siamo meno furbi di quello che crediamo.
Molta cautela nel diffondere, o meglio nel non
diffondere proprio, informazioni a proposito di bandi, concorsi e via dicendo:
è un segreto di Pulcinella. Tutti sanno, ma nessuno parla, nessuno diffonde
l’informazione, perchè altrimenti “ti rubano l’idea”. Salvo poi ritrovarsi
tutti, da concorrenti, a fare la coda
per consegnare le schede necessarie per partecipare al suddetto segretissimo
bando, a guardarsi e a dirsi: oh! anche
tu qui!
Ma certo. Forse sarebbe stato meglio parlarsi del
bando in questione, che ci si poteva dare una mano a compilarlo, invece che
ciascuno per sè e dio per tutti.
Mi si obbietterà: è giusto che il bando lo vinca chi
è capace di compilare la scheda di partecipazione, che è misura anch’essa della
qualità e della preparazione della compagnia teatrale, una sorta di requisito
minimo per poter pensare di fare le cose a certi livelli.
Falso.
L’obiezione di cui sopra sarebbe accettabile in un mondo
ideale, ma oggi (e ciascuno di noi, a pensarci bene, può fare esempi precisi)
sono molti quelli che avrebbero le necessarie qualità artistiche, ma non hanno
avuto possibilità (per la crisi in primis, che toglie tempo spazio e risorse
per la formazione) di applicarsi a migliorare le competenze burocratiche per
compilare la suddetta scheda di partecipazione.
Secondo nano: Brontolo
ovvero quanto ci conviene essere ostili?
La concorrenza
giù-dal-palco, al contrario di quella sul-palco, non favorisce necessariamente
la qualità. Al contrario, la mancanza di circolazione di informazione, di
know-how, di competenze, che restano accentrate a lungo nelle mani degli
stessi, fa ristagnare la produzione artistica; che per definizione vive di
avvicendamenti e trasformazioni. Il mio pensiero va subito a tanti baroni,
abbarbicati alle loro poltrone, ai gatekeepers
che decidono che cosa deve oppure non deve vedere il pubblico; che a leggere
quello che professavano da giovani sembra incredibile che ora siano diventati quello
che sono.
Terzo nano: Dotto
ovvero punto per punto (“dot to dot”)
Nel 2011 scrivevo il Manifesto per la Non-Proprietà
Intellettuale. Lo diffondevo in Rete, e chiedevo ai miei amici di leggerlo e di
proporre modifiche, che sarebbero state inserite di volta in volta. Dunque
anche il metodo di stesura del manifesto stesso era collettivo e non
individuale. Nonostante questo manifesto cerchi di dare un punto di vista
alternativo rispetto all’origine delle idee, in un certo senso riguarda anche
il discorso sull’economia dell’informazione. Ne riporto alcuni punti.
2a -
l'uomo partorisce idee.
2b - le idee si trasformano in fatti che modificano la
realtà non solo per chi le ha partorite, ma per tutto il consorzio umano.
2c -
non sappiamo esattamente come nascano le idee, ma sicuramente non sono il
prodotto di un'attività solipsistica; piuttosto nascono dal ricombinarsi della
realtà e dall'apporto di altri punti di vista.
3 – Il manifesto per la
non-proprietà intellettuale afferma:
3a - La non-proprietà individuale delle
idee. Le idee non appartengono solo a chi le ha partorite.
3b - Se una tale
posizione estrema può sembrare irragionevole e contro natura, l'attuale sistema
per cui le idee vanno a favore di pochi e non della collettività non è certo
migliore.
3c - Una parte dei mali di oggi deriva dalla speculazione di pochi
su idee che potrebbero non solo giovare a molti, ma (e soprattutto) essere
sviluppate e crescere e diffondersi più rapidamente ed efficacemente se condivise
e lavorate da più menti, anche e soprattutto grazie alle nuove tecnologie di
comunicazione, in primis la Rete, se usata per fini di sperimentazione di nuove
aree di scambio e condivisione lontane dalle logiche commerciali e
consumistiche.
4a - E' illusorio pensare che le idee siano nostre, quando in
realtà provengono da stimoli, dialoghi, cose fuori di noi che non ci
appartengono, ma che in noi si ricombinano. Crediamo che le idee siano mezzi a
nostra disposizione, in realtà siamo noi ad essere i mezzi che le idee hanno
per nascere, ricombinarsi, diffodersi. Siamo noi ad essere cavalcati dalle
idee, e non viceversa. Inoltre, le idee ci sopravvivono.
4b - Questa
"illusione di possesso" delle idee ci deriva da aspetti psicologici
innati, oltre che da fattori culturali: il senso di proprietà e competizione
che in parte fin da piccoli ci viene trasfuso, in parte è proprio della natura
animale di cui siamo fatti.
4c - L'egoismo del voler tenere un'idea per sè e
sfruttarla solo per vantaggio personale è contro il benessere collettivo. La
teoria secondo la quale la competizione, la speculazione e l'egoismo personale
vadano, per effetto di composizione secondario, a benessere di tutti, si è
rivelata in questi ultimi anni in tutte le sue contraddizioni, e ci sta facendo
pagare un prezzo molto alto in termini di qualità della vita e felicità
personale. Inoltre, è nella normale natura delle cose diffondersi e rimbalzare
di mente in mente, come è un fatto assolutamente naturale per un'idea
contagiare altre menti, diffondersi, duplicarsi, modificarsi.
4d - Tutti noi
siamo utilizzatori di idee degli altri, e ne traiamo giovamento, anzi spesso rubiamo
le idee degli altri: ma di questo non ci facciamo nessuno scrupolo, anzi
nemmeno ce ne accorgiamo.
4e - Le idee crescono, si sviluppano e si realizzano
nel confronto con la realtà e con gli altri, che ce le restituiscono
accresciute o modificate. Senza nulla voler togliere al genio personale, se non
ci fosse la realtà esterna tale genio non avrebbe modo di trarre la materia
prima per ricombinare idee e nemmeno il campo dove poterle riseminare.
5b - Se
le idee fossero libere di circolare e non piegate a ragioni economiche, di
sfruttamento e speculazione, avrebbero maggiori possibilità di migliorarsi,
svilupparsi, e di portare bene alla collettività.
5c - Le idee lasciate libere
di circolare potrebbero, per selezione naturale tra di loro, portare più
frutti. Al contrario, le idee contro il vantaggio collettivo semplicemente non
verrebbero scelte dalla collettività.
5d - Che vantaggio ne trarrebbe il
singolo dall'aver "partorito" un'idea? Si consideri che è egli stesso
parte della collettività, nè più nè meno degli altri. Al contrario, la
consapevolezza di aver migliorato la qualità della vita della collettività (di
cui fa parte) e dunque anche la propria, dovrebbe essere il nuovo metro di
valutazione dell'importanza delle proprie azioni.
5e - Il genere umano
potrebbe fare un salto evolutivo notevole, se svincolasse le idee dallo
sfruttamento per lasciarle libere di ricombinarsi e migliorarsi e crescere.
5f
- Il momento in cui le idee sono state incatenate e hanno rallentato sia la
loro evoluzione che il loro potere pervadente nella società è stato quello in
cui si è legato il concepire idee con il diritto a sfruttarle solo per proprio
vantaggio, e non per quello della collettività. E' stato il momento in cui si è
egoisticamente smesso di condividerle, di provare rispetto per l'altro come
parte della comunità, trasformandolo in possibile fonte di guadagno.
5g - Si
può sradicare il senso di possesso delle idee pensando che chiunque di noi
poteva nascere dalla parte sbagliata del mondo, ed essere uno sfruttato invece
che uno sfruttatore. Inoltre, molto pericoloso è lo sfruttamento di cui si è
vittime inconsapevoli, e questo è diffuso in ogni parte del mondo, anche quello
chiamato "evoluto". Bisogna riconsiderare il vero significato della
parola "evoluzione".
5h - L'obiezione dell'ingiustizia: "Non è
giusto che un altro che non si è impegnato per sviluppare un'idea ne goda come
uno che invece si è impegnato a favore di essa". A questo problema, che si
può definire quello dell' "utilizzatore inerte" si può rispondere con
alcune tesi:
5h1 - La maggior parte di noi è abituata a comprare le
idee degli altri: usiamo un i-pod, ma non ci siamo impegnati per creare un
i-pod. Abbiamo forse impiegato diversamente il nostro tempo, in altre
attività.
5h2 - Ciascuno di noi decide come impegnare il proprio tempo; ma con
la consapevolezza che esso è limitato, dovremmo spingerci a portare avanti idee
utili per noi e per gli altri piuttosto che a vantaggio di pochi, e distrattive
rispetto a problemi della comunità, di cui facciamo peraltro parte.
5h3 -
Essendo il consorzio umano variegato per bisogni e tipologie, ciascuno può
contribuire con idee libere in diversi ambiti, in base alle proprie qualità e
doti personali. Anzi, è proprio grazie a questa differenziazione che molto
spesso le idee riescono a trovare i punti di vista diversi necessari per
potersi evolvere.
6a - Condivisione è la parola chiave, in grado di far
crollare il sistema che si basa su sfruttamento, conoscenza unilaterale delle
informazioni, speculazione a vantaggio di pochi.
6b - Serve coraggio per
abdicare alla proprietà intellettuale delle proprie idee, ma una visione ampia,
eterogenea e completa della realtà circostante non può che indurre a pensare
che questo sia il momento chiave per dare una svolta all'approccio dello
sfruttamento individuale delle idee a favore della condivisione delle idee per
tutto il consorzio umano.
Se nel testo qui sopra sostituiamo la parola idea con la parola informazione
il senso non cambia. Si tratta sempre di quei mattoncini necessari alla
costruzione di qualcosa.
Quarto nano: Eolo ovvero
liberi come l’aria.
Se non conoscete ancora Aaron Swartz, è il momento giusto per guardare
questo video.
Questo è il suo manifesto.
L’informazione è potere. Ma come
con ogni tipo di potere, ci sono quelli che se ne vogliono impadronire.
L’intero patrimonio scientifico e culturale, pubblicato nel corso dei secoli in
libri e riviste, è sempre più digitalizzato e tenuto sotto chiave da una
manciata di società private. Vuoi leggere le riviste che ospitano i più famosi
risultati scientifici? Dovrai pagare enormi somme ad editori come Reed
Elsevier.
C’è chi lotta per cambiare tutto
questo. Il movimento Open Access ha combattuto valorosamente perché gli scienziati
non cedano i loro diritti d’autore e che invece il loro lavoro sia pubblicato
su Internet, a condizioni che consentano l’accesso a tutti. Ma anche nella
migliore delle ipotesi, il loro lavoro varrà solo per le cose pubblicate in
futuro. Tutto ciò che è stato pubblicato fino ad oggi sarà perduto.
Questo è un prezzo troppo alto da
pagare. Forzare i ricercatori a pagare per leggere il lavoro dei loro colleghi?
Scansionare intere biblioteche, ma consentire solo alla gente che lavora per
Google di leggerne i libri? Fornire articoli scientifici alle università
d’élite del Primo Mondo, ma non ai bambini del Sud del Mondo? Tutto ciò è
oltraggioso ed inaccettabile.
“Sono d’accordo,” dicono in molti,
“ma cosa possiamo fare? Le società detengono i diritti d’autore, guadagnano
enormi somme di denaro facendo pagare l’accesso, ed è tutto perfettamente
legale - non c’è niente che possiamo fare per fermarli”. Ma qualcosa che
possiamo fare c’è, qualcosa che è già stato fatto: possiamo contrattaccare.
Tutti voi, che avete accesso a
queste risorse, studenti, bibliotecari o scienziati, avete ricevuto un
privilegio: potete nutrirvi al banchetto della conoscenza mentre il resto del
mondo rimane chiuso fuori. Ma non dovete - anzi, moralmente, non potete -
conservare questo privilegio solo per voi, avete il dovere di condividerlo con
il mondo. Avete il dovere di scambiare le password con i colleghi e scaricare
gli articoli per gli amici.
Tutti voi che siete stati chiusi
fuori non starete a guardare, nel frattempo. Vi intrufulerete attraverso i
buchi, scavalcherete le recinzioni, e libererete le informazioni che gli
editori hanno chiuso e le condividerete con i vostri amici.
Ma tutte queste azioni sono
condotte nella clandestinità oscura e nascosta. Sono chiamate “furto” o
“pirateria”, come se condividere conoscenza fosse l’equivalente morale di
saccheggiare una nave ed assassinarne l’equipaggio, ma condividere non è
immorale - è un imperativo morale. Solo chi fosse accecato dall’avidità
rifiuterebbe di concedere una copia ad un amico.
E le grandi multinazionali,
ovviamente, sono accecate dall’avidità. Le stesse leggi a cui sono sottoposte
richiedono che siano accecate dall’avidità - se così non fosse i loro azionisti
si rivolterebbero. E i politici, corrotti dalle grandi aziende, le supportano
approvando leggi che danno loro il potere esclusivo di decidere chi può fare
copie.
Non c’è giustizia nel rispettare
leggi ingiuste. È tempo di uscire allo scoperto e, nella grande tradizione
della disobbedienza civile, dichiarare la nostra opposizione a questo furto
privato della cultura pubblica.
Dobbiamo acquisire le
informazioni, ovunque siano archiviate, farne copie e condividerle con il
mondo. Dobbiamo prendere ciò che è fuori dal diritto d’autore e caricarlo su Internet Archive. Dobbiamo acquistare
banche dati segrete e metterle sul web. Dobbiamo scaricare riviste scientifiche
e caricarle sulle reti di condivisione. Dobbiamo lottare per la Guerrilla Open
Access.
Se in tutto il mondo saremo in
numero sufficiente, non solo manderemo un forte messaggio contro la
privatizzazione della conoscenza, ma la renderemo un ricordo del passato.
Vuoi essere dei nostri?
Luglio 2008, Eremo, Italia
Non è in fondo così chiaro? Il concetto di proprietà
intellettuale è stato distorto a favore della ricchezza di pochi sui molti. Non
sarebbe meglio che i mattoncini di informazione necessari per migliorare la
qualità dell’esistenza siano a disposizione di tutti?
Quinto nano: Mammolo
ovvero siamo ancora attaccati alle sottane di madre natura.
Andiamo a toccare un altro nervo scoperto del
problema.
Il naturale egoismo umano.
Cito la Rita Levi-Montalcini.
“Quello che in molti ignorano è
che il nostro cervello è fatto di due cervelli. Un cervello arcaico, limbico,
localizzato nell'ippocampo, che non si è praticamente evoluto da tre milioni di
anni fa ad oggi, e non differisce molto tra l'homo sapiens e i mammiferi inferiori.
Un cervello piccolo, ma che possiede una forza straordinaria. Controlla tutte
quelle che sono le emozioni. Ha salvato l'australopiteco quando è sceso dagli
alberi, permettendogli di fare fronte alla ferocia dell'ambiente e degli
aggressori. L'altro cervello è quello cognitivo, molto più giovane. E' nato con
il linguaggio e in 150mila anni ha vissuto uno sviluppo straordinario,
specialmente grazie alla cultura. Si trova nella neo-corteccia. Purtroppo buona
parte del nostro comportamento è ancora guidata del cervello arcaico. Tutte le
grandi tragedie - la Shoah, le guerre, il nazismo, il razzismo - sono dovute
alla prevalenza della componente emotiva su quella cognitiva. E il cervello
arcaico è così abile da indurci a pensare che tutto questo sia controllato dal
nostro pensiero, quando non è così. I giovani di oggi si illudono di essere
pensanti. Il linguaggio e la comunicazione danno loro l'illusione di stare
ragionando. Ma il cervello arcaico, maligno, è anche molto astuto e maschera la
propria azione dietro il linguaggio, mimando quella del cervello cognitivo.
Bisognerebbe spiegarglielo.”
Sesto nano: Pisolo
ovvero la propria distrazione fa l’altrui ladro.
In definitiva, tra un sistema di security through obscurity ed uno full disclosure, paradossalmente sembra essere più sicuro il secondo. Se non c’è niente da
scoprire, ma è il saper fare che
permette di portare a termine il processo, allora sarà molto difficile per chi
non ha le competenze venirne a capo. Diversamente, una cassaforte che può
essere aperta da chiunque, una volta
scoperto il meccanismo, non è molto sicura, visto che su questo pianeta
siamo ormai in tanti e prima o poi qualcuno lo troverà, il modo di scassinare
la nostra informazione-mattoncino.
Inoltre, non è detto che l’informazione che ho in mio
possesso sia adeguata ai miei bisogni. Magari sarebbe oggettivamente più
produttiva, efficace, nelle mani della concorrenza... che a sua volta potrebbe
avere, senza saperlo, informazioni a me utili. Non tutti vediamo un certo mattoncino-informazione
allo stesso modo. Non è detto che lo stesso mattoncino-informazione si incastri
bene nel mio progetto come in quello altrui.
L’unica forma di crittografia davvero efficace per
proteggere un’informazione sembrerebbe essere quella quantistica, che si basa
(semplifico al massimo) sul concetto che, nel caso in cui qualcuno intercetti
l’informazione prima del legittimo destinatario, l’informazione si corrompa e
non sia più utilizzabile (oltre che avvisare il destinatario del fatto che
lungo il tragitto dell’informazione, dal mittente al destinatario, è successo
qualcosa). Se la natura umana sembra essere egoista per quanto riguarda
l’informazione, l’universo invece non lo è affatto, anzi la elargisce a piene
mani, ne fa uno dei suoi punti di forza per evolversi. Una forma biologica che
non condivide la sua informazione con le generazioni successive è destinata ad estinguersi.
Ora che ci penso: i sette nani della favola lavorano
in una miniera. Estraggono diamanti. Tutte le mattine salutano la Bella
Informazione Addormentata e, cantando in coro quella canzone che tutti
conosciamo, prendono a picconate la roccia per cavarne fuori gemme preziose.
Che cosa ne facciano non si sa.
Settimo nano: Guerrafondaiolo
ovvero guerra e informazione vanno a braccetto.
Concludo con un esempio immediatamente percepibile
nella sua drammaticità. Nello specifico, parlo di guerre che si decidono sulla
base di mattoncini-informazioni. Slavoj Zizek, nel suo libro “Event –
Philosophy in Transit” (Penguin 2014) cita Donald Rumsfeld, allora US Secretary
of Defence, che nel febbraio del 2002, a proposito dell’intervento USA in Iraq per
porre fine al proliferare di armi chimiche, affermò: “Ci sono cose che sappiamo
di sapere; ci sono cose che sappiamo di non sapere; e ci sono cose che non
sappiamo di non sapere.” Per questo, conviene un intervento, anche se fosse: preventivo. Zizek aggiunge: manca un
caso, e cioè: “ci sono cose che non sappiamo di sapere”. Esattamente un anno
dopo: siamo nella sala conferenze delle Nazioni Unite a New York. Colin Powell annuncia
ufficialmente l’intervento degli USA in Iraq. Alle sue spalle c’è un bel
tendaggio blu. E’ solo uno sfondo? Pochi sanno che dietro a quel drappeggio, appeso
lì per l’occasione, c’è una riproduzione a dimensioni naturali della Guernica
di Picasso. Pareva brutto dichiarare imminenti bombardamenti, con quell’icona
dell’arte alle spalle, e con tutto ciò che simboleggia. Ma la Bella
Informazione è sempre Addormentata, e rari sono i principi azzurri che provano
a risvegliarla con un bacio.
Si ringrazia Pino Conson per un imput creativo determinante alla stesura
di questo articolo.
lunedì 17 febbraio 2014
Headed for success - a 25 fotogrammi al secondo
Headed for success
a
25 fotogrammi al secondo.
Dal
2009 al 2013 ho scattato 21.328 fotografie.
Sto
parlando di file .jpg.
I
miei genitori conservano negli album le loro fotografie di quando erano
giovani, tenute ferme da angolini di plastica. Negli ultimi album ci sono
anch’io, che mi esibisco in alcuni grandi classici: il primo bagnetto, sulla
giostrina in sella ad una moto, paletta e secchiello in mano e i piedi a bagno
in mare, cose così. Ma torniamo a noi.
Anche
prima del 2009 ho scattato molte fotografie.
Le
conservo in cartelle dentro altre cartelle, annidate in hard disk esterni.
Limitiamoci
agli scatti tra il 2009 e il 2013.
Calcolatrice
alla mano.
In
un anno ci sono 365 giorni.
365
giorni per 5 anni fa 1.825 giorni.
21.328
diviso 1.825 fa 11,686575342465753 fotografie al giorno, insomma: un po’ più di
11 fotografie e mezza al giorno.
Una
foto ogni due ore, dal 2009 ad oggi, ininterrottamente. Cosa avrò mai avuto da
fotografare. Quale ansia mi ha fatto premere compulsivamente il pulsante dello
scatto. Che cosa temevo che, da un istante all’altro, sarebbe andato perso e
quindi andava salvato, conservato nella sequenza di numeri di una fotografia
digitale da scrivere su un supporto di memoria esterna rispetto a quella del
mio cervello.
Non
ho voglia di scorrere tutte queste fotografie.
Potrei
dividerle in categorie, a prescindere da quando sono state scattate. Alcune
sono fotografie di famiglia: mio fratello, parenti, amici. Altre di luoghi dove
sono stato, occasioni, momenti che mi stavano ispirando, ragione per cui:
scattare, e immagazzinare. Altre sono strettamente legate all’arte: fotografie
di miei quadri, installazioni, eventi artistici. Aggiungo per ogni evenienza
una categoria che potrei chiamare: altro. Qui dentro ci sono tutte le
fotografie sbagliate, casuali, che non sono venute come volevo, scartate, di
cose che magari poi, a rivederle in seguito, non erano così importanti, o fonte
di ispirazione così forte.
Impossibile
liberarmi anche di quelle.
Disposofobia,
accumulo compulsivo, nella sua variante fotografica.
Anche
volendo, non avrò mai tempo di rivederle tutte.
Che
cosa potrei farci: un gigantesco mosaico, lasciando che sia il caso a disporre
gli scatti, e vedere qual è il colore predominante della mia vita fotografata
di questi ultimi cinque anni. Così, un po’ da lontano, guardare 21.328 fotografie,
di dimensioni troppo ridotte perchè si possa distinguerle; e trarne una
tonalità, forse un disegno astratto.
Oppure,
potrei farle scorrere velocemente una dopo l’altra, una al secondo.
21.328
secondi sono 355,466666666666667 ore di proiezione.
Quasi
356 ore di film ininterrotto. Un film che dura più di un anno.
Dimezzando
il tempo di comparsa di ogni singolo scatto, siamo sempre nel mondo delle cose
impossibili: un filmato di 178 ore.
Proviamo
ancora.
La
televisione, per dare l’impressione del movimento, spara negli occhi degli
spettatori 25 fotogrammi al secondo (al cinema delle origini ne bastavano 16).
21.328 fotografie diviso 25 fotogrammi al secondo fa 853 secondi (circa).
Servono cioè 853 secondi per proiettare 21.328 fotografie alla velocità di 25
fotogrammi al secondo.
Ancora
troppo: 853 secondi sono 14 ore circa di proiezione.
Nel
1979, sul Time, appariva un articolo a proposito di un certo Hal Becker,
ricercatore di elettronica medica della Louisiana, inventore di una scatola
nera in grado di diffondere messaggi subliminali ad alta velocità e a basso
volume, per circa 9.000 volte l’ora.
Una
catena di supermercati dell’East Coast, installato questo apparecchio e
diffondendo il messaggio subliminale insieme alla musica ambientale, ottenne
una riduzione del taccheggio del 37%, durante un periodo di prova di 9 mesi.
Il
messaggio subliminale era: “Non ruberò. Mi comporterò correttamente.”
Nello
stesso articolo, il professor Becker affermava di aver rifiutato le richieste
di assunzione da parte di diversi politici e pubblicitari.
Prima
che le nostre menti inizino a macinare considerazioni a proposito di questa
scoperta e del suo uso, torniamo a noi. Ho 21.328 fotografie. Non so quale sia
la velocità necessaria per proiettarle affinchè non vengano percepite
razionalmente dall’osservatore, ma ne ho abbastanza per farlo per molte ore di
seguito.
Non
intendo nascondere un singolo messaggio subliminale: ipotizzo un filmato molto
veloce, che impressioni la retina degli spettatori e venga percepito dal
cervello; che non venga interpretato razionalmente ed in modo narrativo, ma che
comunque sia in qualche modo assimilato a livello inconscio. Ecco: lo
spettatore avrebbe, forse e solo in parte, assimilato l’aspetto emozionale,
molto generico, dei miei 5 anni di scatti fotografici. Una parte della mia
storia sarebbe ora sua.
Non
funzionerà, per molti motivi.
Perchè
la stessa immagine può suscitare emozioni differenti in ciascuno spettatore.
Perchè
non si tratta di un messaggio subliminale preciso, ma ottico e
reinterpretabile.
Perchè
ogni spettatore coglierebbe come più affini al suo modo di sentire, a livello
incoscio, certe immagini più di altre, che si fisserebbero più facilmente nella memoria.
Rallentiamo
il nastro.
Le
immagini smettono di sfarfallare, tornano ad essere distinguibili, una dopo
l’altra, fino ad un fermo immagine, su uno scatto qualsiasi. Sembra che debba
scomparire anche quello, per lasciare posto al successivo, e invece no.
Sta
fermo lì.
Per
un po’ lo spettatore si chiede se il filmato sia terminato; se si sia bloccato
per qualche motivo tecnico. Distrazione, domande. Poi tornerebbe a focalizzare
l’attenzione sullo scatto. Perchè proprio quello, se non è un errore. Un paesaggio,
un ritratto, chi lo sa.
La
foto resta lì sullo schermo.
Forse
lo spettatore inizierà a domandarsi se c’è qualcosa di particolare, in quella
fotografia, che non sta cogliendo. La guarda meglio.
Definizione
di immagine: metodica rappresentazione secondo coordinate spaziali indipendenti
di un oggetto oppure di una scena, contenente informazioni descrittive riferite
alla scena oppure all’oggetto rappresentato, e dunque distribuzione
bidimensionale o tridimensionale di un’entità fisica. Il linguaggio delle
immagini è intrisecamente indeterminato, evocativo, dotato di segni che
assumono valore simbolico in relazione al significato attribuito a ciò che si
osserva o al valore pragmatico degli scopi della comunicazione. La formazione
di un’immagine avviene attraverso la combinazione di una sorgente di energia e
dalla riflessione dell’energia stessa emessa dalla sorgente da parte di oggetti
di una scena; infine, di un sensore sensibile all’energia prodotta dalla
sorgente che raccolga l’energia irradiata dalla scena.
Il
sole, un albero, il mio occhio che raccoglie l’energia riflessa dall’albero.
Adesso,
un passaggio meno facile.
Siamo
nel campo delle immagini digitali.
Affinchè
le immagini siano elaborate da un computer, occorre trasformarle in una
rappresentazione numerica/digitale. Però in natura la distribuzione di energia
elettromagnetica è continua, mentre nella digitalizzazione il campo delle
possibilità di numeri da impiegarsi per descrivere l’immagine è finito. Ecco
che entra in scena l’algoritmo, che da un lato deve mantenere la
riconoscibilità dell’immagine, dall’altro andare incontro alla limitatezza
strutturale del supporto impiegato.
Lo
spettatore sta guardando un algoritmo.
Fermo
lì, fisso.
Certo,
riconosce il paesaggio, il volto, le sfumature, come se fosse reale,
praticamente identico all’originale se avesse usato i suoi stessi occhi. Ma non
esattamente.
Quando
ero bambino, bastavano 16 colori per far sì che il protagonista del videogioco
con il quale stavo giocando popolasse di situazioni credibili ed emozionanti la
mia mente, e producesse nel mio corpo accelerazione del battito cardiaco,
sudorazione alle mani, produzione spontanea di chissà quali molecole chimiche.
Certo, c’era il coinvolgimento narrativo della storia, ma sempre di 16 colori
stiamo parlando. Per non parlare degli spigoli degli oggetti, delle sagome
quadrettose.
Mi
chiedo quale sia l’algoritmo, se mai ce n’è uno, di elaborazione delle immagini
da parte del mio cervello.
Lo
spettatore guarda la mia foto, e nel frattempo guarda il suo modo di vedere la
realtà, guarda l’algoritmo, che la natura gli ha scritto nel codice genetico,
che gli consente di ordinare tutta quell’energia che gli pervade le orbite
oculari.
Guardo
lo schermo sul quale sto scrivendo. Non so esattamente come funzioni.
Come
mio nonno, che non sapeva il funzionamento del videoregistratore, ma lo usava.
Un
po’ meno le funzioni di programmazione per farlo iniziare a registrare al
momento giusto, senza che lui fosse presente. Così, quando guardava tempo dopo
la videocassetta, il film (che aveva deciso di videoregistrare perchè non
poteva vederlo in diretta) era già iniziato, oppure c’era un pezzo di film
precedente, e poi un sacco di pubblicità.
domenica 16 febbraio 2014
mercoledì 12 febbraio 2014
K-Hole Teater: Finchè morte non ci separi starts February 18, 2014 at 09:30PM
K-HOLE TEATER: TUTTI I MARTEDI' al K-HOLE una nuova rassegna dedicata alle PERFORMING ARTS e al TEATRO INDIPENDENTE. In collaborazione con P-Ars Andrea Roccioletti Studio Ingresso GRATUITO per i soci MSP Uscita...a cappello! K-HOLE Art Social Club | via S.Agostino 17 | Quadrilatero Torino http://ift.tt/1dhfUZG MARTEDI’ 18 FEBBRAIO ore 21.30 "Finchè morte non ci separi" di Francesco Olivieri reading + performance di Karin De Ponti, Cristina Conti e Marco Nicosia Il progetto nasce da un fortunato incontro dell'autore con una delle interpreti che, sensibile al tema, sposa l'idea di creare una rete di artisti, che contemporaneamente si esibiranno nella stessa giornata, creando una rete di denuncia amplificata a livello nazionale. "Finché morte non ci separi" è la storia di due donne che vengono ammazzate dai loro rispettivi compagni. È una denuncia contro il femminicidio scritta da un uomo che si è messo nei panni delle vittime. Due donne all'apparenza molte diverse, una che rispecchia tutti i luoghi comuni della donna maltrattata e spesso uccisa, l'altra che elude ogni luogo comune e che nonostante viva una vita agiata e ripiena di affetto finisce come l'altra. Con ironia e allo stesso tempo con toni tragici entrambe narrano da morte la loro condizione fino al momento dell'uccisione. Il messaggio che vuole dare l'autore è: cambiando l'ordine dei fattori il risultato non cambia. Un invito alla riflessione e al porsi delle domande serie su come affrontare questo dramma che sempre più spesso si manifesta sul territorio nazionale. ************************************* ************************************* K-HOLE Art Social Club è il nuovo spazio indipendente per le arti contemporanee gestito da Kaninchen-Haus e diretto da Brice Coniglio (Coniglioviola). Sul solco degli art cafè che a fine ottocento nascevano in opposizione e alternativa al contesto borghese delle gallerie, il K-HOLE, con i suoi 360 metri quadri disposti su tre livelli, si propone come nuovo spazio condiviso di produzione e fruizione culturale. http://ift.tt/1dhfUZG http://ift.tt/1dhfUZK K-HOLE via sant’agostino 17 | Quadrilatero, Torino. ************************************* ************************************* K-HOLE TEATER // PROSSIMI APPUNTAMENTI: MARTEDì 25 FEBBRAIO ore 21.30 "Scarafaggi" - Compagnia Zeropalco
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martedì 11 febbraio 2014
House of passage
A project for: Creating site-specific dance and performance works
House of passage - P. Kirkeby | Stephan Koplowitz | Andrea P-Ars Roccioletti
The place is located in a
quite suburb of the city. Nearby there are many busy streets, and the garden
that surrounds the architectural structure is like a green island. It is
frequented by people who live in the surrounding area, as children and old people.
The architectural structure is a work of Per Kirkeby. The municipality of Turin
has promoted this work as part of a redevelopment project area.
Currently the work is not
"lived" by the locals. Most of the people observed it by the stopped
cars in traffic. At first my observation (I spent a lot of time here) the
feeling of incompleteness of the structure acts as a contrast to the
surrounding palaces: therefore I would like to create something on the sense of
unfinished that this work shall, in relation to his being trapped in the city
traffic.
While, in fact, the homes
where we normally conduct our lives, are "concluded", but we
continually fill with home furnishings, on the other hand we have this space
incomplete, never satisfied, which creates tension between two opposite: that
of living permanently, and that of being just passing through.
The action of the
performance will take place within the architectural structure called
"Opera for Turin" by Per Kirkeby (2005). The
structure itself will be the central element in the performative. There are two
perspectives of participation. The first, for the public placed in the area
marked by the letter A. The second, thanks to a camera placed inside the structure
(letter B): the audience can watch in streaming on mobile devices such as
mobile phones, tablets, etc., what happens inside the structure itself.
The dual perspective of
observation that interests me is the outside, front, very often but never lived
daily with due attention to the work, while the inner one, thanks to the
artifice of live video streaming, which allows you to see what happens
"inside" of the frame as an additional "eye" on the
"private" performance of dance.
This will emphasize on one
hand the particular geometry of the structure, from a regular external point of
view, but irregular inside, and therefore to live not only his appear frontally
but also as a solid element with an internal volume, populated by the dancers.
The structure has the
characteristic of looks like a building under construction. In fact, it is in
its minimalism, and in its basic structures represent, that is all its power.
Indeed, it seems like an unfinished house, with windows and doors, but neither
doors nor without furniture other items of home. For this reason, well
represents a place in the middle between the passage and the possibility to
stand, between complete and incomplete.
The possibility to relate
to the physical engagement of the performers stand outside or inside; crossing
or staying in the spaces that connect the interior with the exterior, in
performing actions within only partially visible from external.
In the case of a night
performance, the lights already present in the pavement within allow play of
light and shadows; may also be obscured with the bodies of the performers, not
only for the audience who attends the performance outside of the structure, but
also by those who follow the action on their mobile devices.
Not have been set up earlier
performances in this location. The space has been awarded to Per Kirkeby as
part of a redevelopment of abandoned and disadvantaged areas of the city.
The space is now a
destination for people passing by the gardens, but is mainly observed by people
standing in the traffic of the road. At the time of its construction was the
subject of much criticism, especially on the part of citizens, and a structure
may be too minimal and conceptual. Other art critics instead consider it an
important work, perhaps too pretentious compared to expectations and
understanding of the people living nearby.
The public can sit on the
grass, and stakeholders will be involved to provide, where appropriate, the
provision of mats and pillows to make the area more comfortable.
The viewing position of
the public are indicated by the letter A in the previous photographs at the
link marked. Moreover, with the aid of mobile devices, tablets, etc., may
follow the action from the point of view of the interior of the structure,
connecting to a streaming channel that will broadcast live for the duration of
the performance, thanks to a camera placed inside the structure.
In this way, two will be
the points of view of the performance to the audience: in front of it there
will be the structure and performers who interact with it; in case of mobile
devices, may also follow what happens inside of the structure, from a point of
view that would not otherwise visible. The contrast between these two points of
view serves to increase the content of meanings by the way of "being"
in the building, or see the action only from the outside.
The area in front of the
structure where the performance will take place can accommodate about two
hundred people. Will be limited, especially in order to avoid that some people
stay in areas not permitted by law and dangerous, such as the cars area, which
is already partially closed to the public by a fence of metal. It is not
expected to pay a ticket, also to prevent many, to follow the performance,
occupy spaces not permitted by law.
Home
of passage
The
performers will dance within, across and outside the structure. It 'a
site-specific work, focused on common use as a place just passing through, to
make it a place of occurrence. Also, the second problem addressed will be to
impermanence, and dwelling in a space not completely finished. The work of the
dancers will also be structured in such a way as to emphasize the concept
of private space and public space, understood as a private house as
opposed to the public space of the street
From
these considerations it is also due to the use of the camera placed inside the
structure, which will allow the audience present not only to follow the
performance from viewers outside of the structure, but also on mobile devices,
to observe what happens to the interior of the structure.
The
importance of this work aims to make the location a place of reflection for the
audience of what is public and what is private, and therefore what is owned and
what it is that is in common use; in addition, the structure of thin and
minimal back to thoughts related to the concept of impermanence, and how much
of our private homes is absolutely temporary and not permanent as we usually
think. At this theme is also connected to the one of the homeless, who see in
this artistic structure a chance to find shelter, although not quite hidden the
formal architecture of the walls, as is the case for our homes.
The
audience will be seated on the grass in front of the structure, and will
observe the performance in front of him. Moreover, thanks to a camera in the
building, will observe streaming to mobile devices what happens inside.
The
performance will take a strictly narrative structure, with parts carried
inside, near the openings and outside of the structure. It will be based on
Propp's functions in such a way as to be readily noticeable and readable as a
narrative, with a beginning of an individual who "lives" the
structure, followed by the group of performers, and a series of actions that
will take place before all 'inside and then the outside.
The
performance will take place at night, and will also benefit especially the
lights placed on the floor inside the structure. The bodies of the performers
themselves will provide a barrier to light, so that it can darken and brighten
again the inner sections of the structure. Will they start moving, and then
vacate the light inside the structure, and therefore the structure will take
shape and thickness due to the alternation and the appearance of human figures
in motion.
The
performers will be fifteen, so that they can comfortably use all the openings
of the structure, and to offer screen lights placed on the pavement. There will
be times when they are all present, and others in which only one of them will
move inside and outside the structure. All the "dialogue" with the audience
will be played on the contrast, as well as inside and outside the structure,
including single performer element solitary and group of performers that
follows the initiatives.
The
clothes are very simple and neutral. Aside from the lights are already on the floor
of the facility, will be used four lights to illuminate the facade of the
architectural structure. Also, within the structure shall be placed a camera
connected to the Net, to stream what happens inside the structure, which is not
observable by the public except with the use of mobile devices such as mobile
phones, tablets, etc.. The vision will be possible by connecting to a site that
sends free images shot inside the structure. To the right and left of the
public there will be speakers for the soundtrack. The soundtrack will be all
based on noise "lonely", footsteps, sounds very simple, as opposed to
sounds "in crowd", as well as the backing track. This will highlight
the work of the two forces in the field embodied by the performers: that of the
individual and that of the mass that follows it.
* * *
1a - Producer
The producer shall also relate to the institutions and stakeholders
1b - Project Manager/Coordinator
Coordinator between the various artists and professionals involved in the project, those who will take care of communication to composers to charts, so that the final product is consistent with the purpose and the "color" of the performance.
1c - Technical Director
Technical Director who coordinates the technical and labor for wiring, positioning lights and loudspeakers.
2. Creative Team
2a - Composer
The composer will create the soundtrack and sound environmental performance
2b - Costume Designer
Realize the costumes for the performers, in close relationship with the other artists involved
2c - Lighting Director
Study the best lighting as designed, and will provide for lighting design.
2d - Sound Designer
Will study the arrangement of the loudspeakers to the audience, and the performers
2e - Video/Web Director
Will deal with the positioning of the camera and directing cutting for shooting live within the structure to be transmitted in streaming.
3. Performers
3a - Dancers
They will be the performers of the evening, and follow not only the work of the choreographers but will also be in close contact with other artists and professionals involved.
4. Production Staff
4a - Technical Crew
They will take care of the placement of lights, wiring, positioning of the loudspeakers.
5. Production Costs
5a - Support space rental
They will ensure the recruitment and placement of the cushions to the public, and the barriers that delimit the area of performance.
6. Technical Costs
6a - Costume Construction
Implementation of stage costumes, or adjustment according to the measures of the performers.
6b - Lighting Rental
The rent of the lights that illuminate the area of ad hoc performance, and light-security to lead the audience in the dark of the field where the performance will take place, and escape in case of emergency.
6c - Sound Equipment
Loudspeakers, for the audience and for the performers.
6d - Video, Internet Connection, Server
All the necessary hardware to wirelessly stream shooting from inside the structure, for the audience that will
follow also with mobile devices.
7. Pre-Production Costs
7a - Rehearsal Space
Rent holiday in the test room for performers, and the creative team that will coordinate the various tasks relating to the performance.
8. Marketing and Promotion
8a - Design (print and web)
Graphic designers and communicators for the creation of posters and communication online and offline.
8b - Printing
Printing of posters to be posted around the city, plus permits posting (would be considered under "legal", but we count them here) and labor costs for the posting (also counted here).
8c - Photography
Photos of the scene for the implementation of the campaign online and offline, photos of the evidence, the location, post-processing graphics, etc..
8d - Social Media Cost
Involved in the print campaign online, on social and email.
8e - Paid Advertisments
Paying ads offline and online, fee, and maintenance.
9. Documentation
9a - Photography
Photographer who documents the performance
9b - Video Documentation (Performance)
Videographer and director replicating the performance, and also mixino with images taken from the camera
positioned within the architectural structure during the performance itself.
9c - Video Documentation (Process)
Videographer who will follow all the stages of development of the performance, from the production of the scene until the final staging
9d - Video Editing
10. Administration
10a - Insurance
Costs of "Public Accountant" and "Consultant of Work", taxes on "Association"*
10b - Legal
"Insurance", "Practicability", "Permits SIAE on Intellectual Property", "Taxes on Security"*
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