Legami chimici covalenti del disegno.
Ovvero:
L’alchimia, da bambini, era più facile.
“Non
so disegnare.”
La
frase precedente è una molecola.
Una
molecola (da “moles”, piccola quantità) è un insieme di almeno due atomi.
Gli
atomi di questa frase sono “Non so” e “disegnare”.
Questi
due atomi sono uniti da un legame chimico covalente.
La
definizione del legame chimico covalente che lega questi due atomi è stato
oggetto di studio per molti anni, e ancora oggi la questione resta irrisolta.
Riporto
il famoso dialogo tra i due scienziati Vielleicht Ja e Durchaus Nicht, che
dedicarono entrambi gran parte della loro vita di studi al problema di questa
controversa molecola. Entrambi ebbero la fortuna di poter condurre le loro
ricerche in un contesto storico della scienza che, tramite la meccanica
quantistica, consente di descrivere gli atomi e gli elettroni che costituiscono
le molecole, e le funzioni d’onda che stanno alla base del moto dei corpi.
V: “Il legame chimico covalente
che lega questi due atomi si chiama Non
mi impegno abbastanza.”
D: “Non sono d’accordo. Lei è
troppo ottimista. Inoltre la definizione è monca. Abbastanza per cosa?”
V: “Questo è il secondo passaggio,
che non abbiamo ancora avuto modo di studiare dettagliatamente.”
D: “Quali sono le ipotesi per il
futuro di questa molecola, che il suo abbastanza
lascia intendere?”
V: “Abbastanza per: A) esporre i
miei disegni al Moma, B) comunicare un messaggio, C) essere soddisfatto.”
D: “Sono giudizi di valore. La sua
definizione ignora il limite che questo legame chimico covalente indica.”
V: “Non dovremmo essere così
prevenuti rispetto al potenziale combinatorio di questi atomi.”
D: “Stiamo studiando un legame. Lo
prendiamo così com’è, oggettivamente. Non
so disegnare è un dato.”
V: “Ci sono delle ragioni per cui Non so disegnare. Non possiamo ignorare
il passato di questa molecola.”
D: “E’ un altro ambito di ricerca.
Ci sono infinite ragioni per cui Non so
disegnare. Ignote e immutabili.”
V: “Ma sono proprio queste ragioni
che possono indicare il destino di questa molecola.”
D: “Una molecola non ha bisogno di
un avvocato, o di un prete per confessarsi, oppure di uno psicologo.”
V: “Siamo d’accordo. Ma capire
perchè questa molecola è così, può spiegarci come può diventare.”
Il
dottor Vielleicht Ja afferma che non mi impegno abbastanza per: Esporre al Moma, Comunicare un messaggio, Essere
soddisfatto del disegno che ho realizzato. Potremmo invertire questa
scaletta, e decidere che il grado di importanza sia differente: Essere soddisfatto del disegno che ho
realizzato, Comunicare un messaggio,
Esporre al Moma.
La
prima ipotesi è che il dottor Vielleicht Ja ignori il fatto che, per quanto mi
possa impegnare, alcuni risultati sono ottenibili, altri invece no; perchè mi
manca qualcosa che il solo esercizio non può darmi. In altre parole, gli atomi
che costituiscono la molecola Non so
disegnare non possiedano affatto le caratteristiche per ricombinarsi in Esporre al Moma.
La
seconda ipotesi è che il dottor Vielleicht Ja abbia invece ragione, e che lui
sappia qualcosa che io non so a proposito della molecola Non so disegnare. Che l’abbia studiata a fondo, e che si renda
conto che con un bel po’ di lavoro, di passaggi da alambicco in alambicco, per
tentativi ed errori, si possa arrivare alla molecola Esporre al Moma.
(Il
professor Durchaus Nicht mi sembra invece un pessimista, oppure un realista.)
Queste
ipotesi sono valide in laboratorio: in una condizione, cioè, per cui
raggiungere lo stato di grazia Esporre al
Moma sia dato realmente dalle capacità delle molecole di trasformarsi. Nel
mondo reale, invece, infinite sono le variabili che possono influenzare questa
trasformazione: i casi della vita, il gusto del tempo, la corruzione degli operatori culturali.
Le
cose si fanno più intricate per quanto riguarda le molecole Comunicare un messaggio e Essere soddisfatto del disegno che ho
realizzato.
Nel
primo caso, alcuni scienziati affermano che, a prescindere dalla molecola Non so disegnare, un messaggio arrivi
sempre al destinatario. Altri invece, in modo diametralmente opposto,
sostengono che non ci sia modo di passare in toto il messaggio iniziale che si
voleva comunicare, e che la molecola Non
so disegnare sia universale per tutti. E ancora: che ci si possa avvicinare
solo per gradi all’obbiettivo di comunicare perfettamente il messaggio, senza
mai raggiungere pienamente questo obbiettivo. Come se gli atomi che
costituiscono la materia stessa dell’informazione fossero influenzati dal modo
in cui li trasformiamo, dando origine ad effetti di composizione indesiderati
che modificano il messaggio stesso.
Dunque
la molecola Comunicare un messaggio
resta un modello da laboratorio, mai trovata in natura.
Nel
secondo caso, quello della molecola Essere
soddisfatto del disegno che ho realizzato, penso che sia piuttosto triste ammettere
che la molecola Non so disegnare non
possa, per sua natura, trasformarsi in quest’altra.
Mi
chiedo se ci sia possibilità per tutti di trovare soddisfazione, oppure se
molti, pur avendone l’aspirazione, non possano farlo. E se dipenda da come si
intendono le cose, dunque si possa raggiungere una serena accettazione dei
propri limiti, oppure se alcuni di noi siano condannati ad essere eternamente
desideranti ed eternamente insoddisfatti.
Che
la Natura (o il Caso) dunque sia buona, e a tutti dia un bagaglio di
possibilità, oppure no.
Sarebbe
anche interessante studiare le interazioni tra le tre molecole sopra descritte:
cioè che Esporre al Moma preveda Essere soddisfatto del disegno che ho
realizzato, oppure no; stesso dicasi per Comunicare un messaggio ed Essere
soddisfatto del disegno che ho realizzato; e che pensare del Comunicare un messaggio ed Esporre al Moma? Senza che la scienza
della critica d’arte debba per forza mettere di fronte agli occhi degli osservatori
microscopi da essa costruiti per poter capire.
Ci
sono molecole che posso gustare da solo, altre che devono essermi spiegate?
Andiamo
a ritroso. Ho un ricordo molto preciso dei miei insegnanti di educazione
artistica.
Alcuni
si limitavano a farmi studiare la storia dell’arte.
Altri
mi facevano sperimentare le varie tecniche artistiche.
Uno
dava sempre ottimi voti, a prescindere dal risultato, se si accorgeva che lo
studente – in questo caso, io e la mia molecola Non so disegnare – si era impegnato.
Un
altro, al contrario, non giudicava mai sufficienti i miei lavori. E’ stato costui
che, un giorno, mi fece vergognare di fronte alla classe (nascita della
molecola Scarsa autostima),
affermando che “...non si consegna mai un disegno con un taglio nel mezzo.” Non
ebbi tempi, o coraggio, per replicare. Quel taglio aveva un preciso
significato: e nemmeno metaforico, anzi. Era fatto per ospitare un secondo
elemento, disegnato su un altro foglio sagomato, che doveva uscire fuori da
quel taglio, balzare verso l’osservatore. Solo che (Natura, Caso,
Disattenzione) nella consegna dei lavori si era perso, era volato via. Il
professore non mi chiese spiegazioni. Non aveva capito, non aveva messo in
dubbio la sua prima impressione. Oggi non so se abbia fatto bene o meno a
giudicare così quel mio lavoro, magari interessante ma sicuramente presentato
con poca accortezza. Però, mi resta il pensiero che dietro ad ogni cosa ci
siano storie, e non so fino a che punto vanno indagate, profondamente, a lungo,
fino a perdersi; oppure se sia necessario fare come le navi, che raggiungono la
destinazione desiderata proprio in virtù del loro galleggiare restando superficiali.
A
ritroso ancora di più.
Quando
ero bambino, adoravo disegnare.
Insieme
a mio nonno disegnavo soprattutto castelli medievali: molto particolari, perchè
visti in sezione, con le varie stanze, scale, porte. Poi aggiungevo al disegno
trabocchetti, trappole, ostacoli, che ipotetici visitatori coraggiosi avrebbero
dovuto superare tra mille difficoltà per arrivare alla stanza del tesoro.
Un
giorno costruimmo un piccolo castello di carta, tridimensionale.
Potrei
riconoscere immediatamente, in mezzo ad altri centomila, lo stile di disegno di
mio nonno, rarefatto, dai colori mai calcati, dalle linee sottili.
Vorrei
provare di nuovo a disegnare uno di quei “castelli del terrore”, oppure
“castelli dei fantasmi” come li chiamavo io. Mi ricordo di quando, a Carnevale,
montavano le giostre in piazza Vittorio. Forse è stato lì che, per la prima
volta e con mio nonno, sono salito su una di quelle giostre. Non ricordo di
aver avuto paura.
Torno
in una frazione di secondo al presente.
So
precisamente dove conservo gli ultimi disegni di mio nonno, al quale mettevo in
mano una matita, durante la sua malattia terminale, insistendo perchè mi
disegnasse qualcosa.
Ogni
disegno, con il decorrere della malattia, diventava meno comprensibile, più
astratto, fino ad arrivare a forme circolari, poi semplici righe, poi nulla,
solo fogli bianchi.
Ma
io ricordo la matita nella sua mano, la sua concentrazione nel cercare di
portare sul foglio qualcosa, la sua mente ormai sfibrata dalla malattia, che si
perde dietro al semplice gesto di appoggiare la punta della matita sulla carta.
Di
nuovo indietro.
Mi
piace pensare che da qualche parte (magari proprio nella stessa cartella di
pelle nera che mio nonno teneva dietro la porta della cucina di casa sua) mia
madre conservi ancora, a mia insaputa, forse per farmi una sorpresa un domani,
i miei disegni di quando ero bambino. Mi ricordo che un giorno disegnai una
sequenza, poi incollai i fogli uno dopo l’altro, come un lungo nastro; speravo
che facendoli scorrere velocemente avrei visto i miei disegni prendere vita
come nei cartoni animati che mi piaceva guardare.
Non
funzionò.
Perchè
Non sapevo disegnare, e perchè non
avevo tutti gli strumenti adatti per condurre l’esperimento che voleva
trasformare la molecola Non so disegnare
in Cartone animato. Però, a
considerare le aspettative che avevo, la molecola Essere soddisfatto del disegno che ho realizzato l’avevo trovata di
certo.
Insomma,
trasformare alcune molecole in altre era più semplice.
E
la molecola Esporre al Moma non
sapevo nemmeno che esistesse.
Crescendo
le cose sono diventate più interessanti e più complicate, allo stesso tempo.
Mi
ricordo di un compito delle medie. Dovevo disegnare a china un paesaggio.
Avevo
scelto una veduta della Gran Madre, con uno scorcio della collina, del ponte e
del fiume. In quegli anni non avevo una camera mia, dormivo in salotto e facevo
i compiti su un tavolo rotondo che non era certo una scrivania. Su questo
tavolo c’era una tovaglia, arancione, con dei ricami in rilievo lungo il bordo.
Se non mettevo nulla che facesse spessore sotto al foglio, la matita inciampava
sul ricamo sottostante al disegno e le linee venivano spezzate in alcuni punti,
interrotte come da un piccolo singhiozzo. Non c’era passione in quel disegno,
dovevo semplicemente compiacere il professore. Nessuna molecola Essere soddisfatto del disegno che ho
realizzato, forse una malandata molecola Comunicare un messaggio, e il messaggio era: caro professore, ho
fatto il compito che mi hai chiesto. Tutto qui. Il Moma a quei tempi era la parete
dell’aula scolastica. Magari quel disegno poteva anche finire appeso lì, se
fosse stato realizzato abbastanza bene.
E, infine, c'è la molecola Tentare, sempre! e tu quella la conosci molto bene, l'hai studiata a fondo, sei in grado perfino di replicarla, come i movimenti delle mani e delle dita del tuo caro, indimenticabile nonno. Che ora si trova proprio al MoMA, sicuramente.
RispondiElimina"Ho sempre tentato. Ho sempre fallito. Non discutere. Fallisci ancora. Fallisci meglio."
RispondiEliminaSamuel Beckett
:)