IL
RIASSUNTINO
ovvero
essere d’accordo o meno senza saperne nulla: evviva la maestra!
Quando frequentavo le elementari, c'era un tipo
di compito che mi lasciava sempre molto perplesso. Forse viene assegnato agli
studenti ancora oggi, non lo so.
Era: il riassuntino.
La maestra ci assegnava la lettura di un libro,
e poi si aspettava da noi studenti un elaborato chiamato "scheda
libro".
Autore, titolo, protagonista, personaggi,
ambiente… fin qui, tutto bene, potevo farlo.
Poi: riassunto. Ah, che pena.
Non metto in dubbio che fosse una tecnica di
comprovata efficacia per farci esercitare sulla sintesi delle cose. Si torna ad
un discorso già affrontato su queste pagine: ottimizzare tempo, risorse scarse,
massimo risultato: tutto così umano, così economicamente
ragionevole. Non sempre per la verità dei fatti, ma quello è un altro discorso. Che riguarda la vita,
che non procede per teorie macro-micro-economiche, e spesso si fa beffe dei
nostri tentativi di organizzare.
D'altro canto, ho sempre avuto il sospetto che
il riassuntino fosse un modo come un
altro, ma particolarmente raffinato, per obbligare gli studenti a leggere il
libro in questione. Ai tempi non c'era internet, quindi bisognava leggerlo
tutto, il libro, pagina dopo pagina: fine dei giochi. E riassumerlo. Oppure
copiare da un compagno di classe più portato per la lettura.
Certo, a grandi linee (e a cuore leggero)
bastava indicare la trama. Il protagonista fa quello, poi accade questo, infine
arriva l’antagonista, poi succede che, e conclusione. E magari anche: morale
(della favola).
Sentivo però che c’era sempre dell’altro;
molto, molto altro. Mi chiedevo (ma forse facevo male a chiedermelo, oppure
facevo bene ma il sistema scolastico non era adatto a cogliere questa mia
tensione) quale fosse in realtà il contesto storico del romanzo che avevo
appena letto, con quali occhi i lettori dell’epoca avessero accolto quel
racconto, se avesse avuto subito fortuna o meno, e chi fosse davvero l’autore,
e la sua vita.
Cose così.
Con Kafka, poi, grande rifiutato e poi
riabilitato, le mie teorie, ai tempi alquanto rudimentali e semplicistiche,
avevano finalmente un esempio, un portavoce, un eroe.
Poi, un bel giorno, riconsiderai il riassuntino. Se non aveva la pretesa di
“contenere” tutto, bensì quella di dare uno spunto, di lasciare socchiusa una
porta, allora poteva essere uno strumento molto efficace per destare curiosità,
muovere all’interesse il lettore, prospettargli un cammino da percorrere,
indicargli magari le difficoltà, poi lasciarlo libero di provare. Che cosa c’è
di più bello di questo?
Certo, tutto quello che non è vissuto in prima
persona è un riassuntino. Quando
racconto un episodio ad un amico, e ci metto del mio a sottolineare questo
aspetto piuttosto che quell’altro; quando un politico deve far passare un
messaggio in un’intervista di venti secondi, e allora semplifica, al prezzo di
non spiegare, risultare superficiale (ma insomma, è un format televisivo, dovremmo saperlo). Però, via: quando un riassuntino è composto in buona fede, fa
in modo che la sua brevità non chiuda le porte alla possibilità.
L’articolo del sig. Panza non ricade in questa
categoria.
E’ (in gergo) una stroncatura.
Anche un poco inesatta: il MOMA ha acquisito i
games di cui parla nel 2012.
Ma lasciamo andare. La questione ben più
rilevante è che, in circa 300 parole, ha la pretesa di suggerire che cosa sia
arte e che cosa, invece, no.
Che ci siano ragioni precise di spazio sul
format del Corriere, vedi qualche riga sopra: un pezzo può aprire porte, oppure
chiuderle. In questo caso le chiude, le spranga proprio, con buona pace di una
bibliografia sterminata non solo in merito all’arte dei games, ma anche alle
nuove forme d’arte, a che cosa sia arte o meno, a centinaia di libri che
riempiono le biblioteche di chi si occupa di arte, e via discorrendo.
Un passo indietro.
Nel 1886 Emile Zola pubblicò il suo
quattordicesimo romanzo, intitolato "L'opera", ambientato nel mondo
dell'arte parigina.
Da un lato, il romanzo ebbe il plauso dei
conservatori, che vedevano nell'arte moderna un affronto ai valori comunemente
accettati; dall'altro, causò la rottura dei rapporti tra gli impressionisti e
l'autore dell'Opera, tra i quali Cezanne stesso, che si vide in uno dei
personaggi del romanzo, il pittore fallito Lantier, nonostante le smentite di
Zola. Insomma, fine di un’amicizia. E cattivissima pubblicità agli
impressionisti.
Andiamo avanti.
Il romanzo di Zola prendeva spunto da un
preciso episodio storico: il rifiuto, da parte dell'Accademia parigina, di
esporre circa 3.000 opere di pittori allora
contemporanei. In seguito alle loro proteste, l'Imperatore concesse
l'organizzazione di un'esposizione parallela a quella ufficiale, che prese il
nome di "Salon des Refusés". Non fu un successo: non solo la critica
condannò fermamente quelle opere, ma lo stesso pubblico si prese gioco di
artisti ancora molto giovani (senza protettori o curatori, aggiungo io, quindi
decisamente fuori dal mercato dell’arte).
L'impressionismo,
secondo la storia dell'arte, inizia proprio nel 1864, data del primo Salone dei
Rifiutati; secondo altri nel 1874, anno in cui il fotografo Nadar ospitò nel
suo studio molti di questi artisti insoliti e contemporanei (e rifiutati).
L’opera di Zola è
circa di 300 pagine; e non risolve la questione di che cosa sia l’arte. L’articolo
del sig. Panza circa 300 parole, tantomeno. Nè questo mio pezzo lo farà, e meno
male. Non voglio affrontare la questione su che cosa sia l’arte e che cosa no:
se sia vero che è tutto ciò che crea discussione attorno a sè, o meno, se abbia
bisogno di tempo per cristallizzarsi ed essere riscoperta un domani, nemmeno.
Però.
Però: così come
gli impressionisti non furono affatto riconosciuti come artisti, così oggi
siamo in presenza di molte altre forme
assolutamente inedite di arte che
cercano la loro collocazione, stiracchiano i confini di quello che riteniamo
arte e di quello che no, cercano di ritagliarsi uno spazio, mettono dei dubbi
allo spettatore.
Sparatona di
domande.
Certe performances
di alcuni artisti contemporanei sono arte?
Che dire del nuovo
modo di fruizione dell’arte da parte del pubblico?
E il suo
coinvolgimento attivo?
E il matrimonio
forzoso dell’arte con l’aspetto commerciale?
E che dire
dell’intermediazione della critica? Quale il suo scopo oggi?
Un potere troppo
grande e troppo di p-arte?
E i collezionisti,
che cosa pensano delle nuove forme d’arte che non si possono comprare oppure vendere, dal momento che sono profondamente connaturate con le
nuove forme di libera condivisione dell’informazione (addio opera d’arte come
bene rifugio, alla faccia del fisco e della crisi)?
E in merito alle
nuove forme di narrazione, che coinvolgono l’arte? Ai transmedia?
In mano a chi
sono? Solo a chi dispone delle risorse necessarie per ottenerne benefici a
proposito dei propri prodotti multimediali, oppure alcuni artisti si stanno
impegnando per renderle pubbliche e proficue per tutti?
Arte come bene
rifugio o bene comune?
Altro che 300
parole e morta lì, come direbbero in
periferia.
Quando arriva il nuovo, ci si può arroccare in posizione di difesa, oppure cercare di capirlo, studiarlo, prenderne del buono e rigettarne del cattivo, stare in ascolto. In definitiva, possiamo farci delle domande. Il riassuntino del sig. Panza a che cosa serve? Si può essere d’accordo o meno con un articolo che non dà nessuna informazione reale in merito? Forse sì, ma solo di pancia, per condivisione di un atteggiamento nei confronti della realtà. Forse il riassuntino del sig. Panza fa contenta la maestra che gli ha assegnato il compito, ma certo non aiuta il resto della classe a capire qualcosa del problema.
Bibliografia
parziale ad uso di chi vuole avvicinarsi alla questione:
Daniel Sloan, Giocare per
vincere, Rizzoli
Jane McGonigal, La realtà in
gioco, Apogeo
Matteo Bittanti, Per una
cultura dei videogame, Unicopli
Marco Sambo, Labirinti - da
Cnosso ai videogames, Castelvecchi
Gamescenes - Art in the age
of videogames, Johan e Levi
Clarke Mitchell, Videogames
and Art, Intellect
Tom Bissell, Voglia di
vincere. Perchè i videogames sono importanti, Isbn
Ciro Ascione, Videogames -
Elogio del tempo sprecato, Minimum fax
Intermedialità. Videogiochi,
cinema, televisione, fumetti, Unicopli.
Videogiochi e marketing -
Brand, strategie e identità Videoludiche, Unicopli
Matteo Bittanti, Schermi
interattivi - il cinema nei videogiochi, Unicopli
Massimo Maietti, Semiotica
dei videogiochi, Unicopli
Federica Grigoletto,
Videogiochi e cinema - Interattività, temporalità, tecniche narrative, Clueb
Ivan Fulco, Virtual
geographyc - Reportage dai mondi dei videogiochi, Costa e Nolan
Alessio Ceccherelli, Oltre la
morte - Per una mediologia del videogioco, Liguori
Chris Kohler, Power Up - come
i videogiochi giapponesi hanno dato al mondo una vita extra, Multiplayer.it
Fabrizio Tavassi, Il mio nome
è Bode. Viaggio nel mondo dei videogiochi tra competizione e dipendenza,
Iuppiter
Marco Richards Accordi, Le
professioni del videogioco, Tunue
Intanto, io non lo chiamo "riassuntino" bensì "riassunto" ma specifico sempre che debba essere "breve" ché gli alunni tendono a lasciarsi prendere la mano e a scrivere TUTTO quanto pensano sia importante, o meglio, quel TUTTO che credono sia importante per la prof. In secondo luogo, do molta importanza al contesto e al co-testo del testo da riassumere e alle principali note biografiche sulla vita dell'autore, dalle quali non si può proprio prescindere per cògliere il senso anche di quel testo fra i suoi tanti. Infine: cosa c'è di più bello di lasciar provare ciascun alunno a individuare in ciò che ha letto quello che l'ha più colpito delle varie fasi della storia e del modo in cui l'autore l'ha raccontata? Credo proprio niente, anzi, proprio niente! Ed è stato così che gli alunni della 1a B la settimana scorsa precisamente mi hanno prodotto e scritto nero su bianco i più bei "riassunti" del film di Jean Vigo "Zéro de conduite" che io avessi mai letto composti da bambini di undici anni! Ognuno di loro è riuscito ESATTAMENTE a riportare della storia narrata nel film gli episodi salienti e quelli che l'hanno interrogato di più fornendogli delle risposte alle proprie domande interiori suscitate dalla visione/lettura delle immagini. Io e le mie classi abitiamo così perennemente il nostro Salon des Réfusés: così i riassunti dei bambini della classe 1a B sono le opere d'arte che un'altra opera d'arte precedente nel tempo ha generato. Questo solo è l'importante, il resto è fuffa per critici. (Grazie per aver parlato di questo!)
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