Mi leggi
una favola? La Bella Informazione Addormentata e i 7 Nani
ovvero Chi ci comanda sa bene come girare a suo
favore il nostro naturale egoismo.
Chi ha giocato con i Lego da bambino (oppure ci gioca
ancora adesso, e sarebbe un capitolo interessante da aprire, ma rimandiamo) conosce
molto bene quella sensazione del preciso istante in cui, aperto il barilotto di
plastica che contiene i mattoncini, lo si svuota a terra, sparpagliando tutti i
pezzi, con buona pace dei condomini del piano di sotto, che a quest’ora
dormiranno. Le energie della creazione sono sempre all’opera, e non si curano
delle rimostranze altrui nella prossima assemblea condominiale.
Questo mio pezzo procederà più o meno allo stesso
modo. Svuoto il barilotto del lego
(dal latino: “delego, affido”), e vediamo che cosa si può fare con i mattoncini
che ne vengono fuori. Ho una serie di elementi, di considerazioni al loro stato
embrionale, vorrei con cautela provare ad accostare le une alle altre, scoprire
se possono convivere e germogliare, se poste nello stesso habitat. Diversamente
non saprei come affrontare la questione, che ha mille sfaccettature e non basta
certo una testa sola per farci un giro intorno e prenderle adeguatamente le
misure.
Si parla di informazione.
Non di testate giornalistiche oppure di telegiornali,
bensì del concetto di informazione al suo stato più elementare: un pacchetto di
dati, se vogliamo restare sulla metafora di cui prima: un mattoncino.
Lavorando come organizzatore per varie compagnie
teatrali, ho avuto a che fare con il mattoncino-informazione: ho sperimentato
varie tecniche per cercarlo, maneggiarlo, diffonderlo, scambiarlo. Nello
specifico, vorrei scrivere non di quell’informazone diretta al pubblico (e delle
sue millemila mirabolanti trovate per farsi notare) nè di quella interna alla
compagnia stessa (e dei processi creativi
dei creativi, di come gli artisti
elaborino e si scambino informazioni). Mattoncini interessanti, altrettanto
interessante l’informazione come risorsa: ad esempio quali bandi sono stati
pubblicati, quali teatri cercano spettacoli, insomma un’informazione che
definirei economica-politica, secondo
un’etimologia antichissima che sembra aver molto poco a che fare con le
contemporanee accezioni del termine.
Siparietto.
Un bel giorno, cercando in Rete, trovo notizia di un
bando per l’assegnazione di fondi a compagnie teatrali che hanno nei loro
programmi artistici temi legati alle questioni di genere. Bene: copio
indirizzo, apro facebook, incollo indirizzo, e segnalo il link ai miei
contatti, casomai ci fosse qualcuno interessato.
Un minuto dopo squilla il telefono.
E’ uno degli attori della compagnia teatrale per la
quale lavoro. E’ arrabbiato.
“Ho visto che hai messo quel link.” mi dice “Non si fa!”
“E perchè?” gli chiedo.
“Perchè gli altri rubano l’idea.”
Non c’è esattamente un’idea da rubare, ma il concetto è chiaro: se diffondi quel link
anche altri parteciperanno al bando, dunque ci sarà più concorrenza, e quindi
meno probabilità di vincere.
Non fa una piega.
Nell’economia dell’informazione questo tipo di
mattoncini hanno un valore reale, quasi monetario, sono una risorsa. Il
turbocapitalismo si è esteso anche all’immateriale, nella sua ultima mutazione,
avendone riconosciuto il valore economico.
Alcuni sostengono che capitalizzare (anche) l’informazione
vada, alla lunga, comunque a vantaggio del progresso, del benessere, e di
tutti. Altri, che questa è una bella illusione, e che sarebbe più conveniente
invece: condividere.
In quell’occasione, all’obiezione che mi era stata
mossa, non sapevo bene che cosa rispondere. Ingenuamente umanitaristico il mio
atteggiamento? La storia sembrava dar ragione a loro, ai membri delle
compagnie: tieniti ben stretto quello che sai, il tuo mattoncino-informazione,
che altrimenti la concorrenza ne
approfitterà. Pochissimi, nella mia carriera
di organizzatore, hanno ricambiato il favore, condividendo informazioni come
invece provavo a fare io.
Però, in fondo, dietro agli altrui rimproveri per
quel mio comportamento troppo ingenuo, c’era una nota stonata. Qualcosa non mi
tornava.
Che i pensieri che ho raccolto qui di seguito siano
un elaborato sistema per dare una giustificazione ad un mio atteggiamento innazitutto
mentale: è un sospetto più che legittimo. Sta di fatto che ora ho qualche
argomento per controbattere.
E, colpo di scena, anticiperò la conclusione.
La competizione (concorrenza) sana (cioè che produce
bellezza, occasioni di crescita, valori senza fare del male a nessuno, senza
svilire nessuno nel suo ruolo) è quella che si svolge sul-palco, e non giù-dal-palco.
Vale per il teatro, ma può essere metafora di molto altro. Sul-palco significa:
nell’occasione in cui l’arte è messa di fronte ai suoi spettatori. Vale anche
per un concerto, per una mostra d’arte. Giù-dal-palco rappresenta invece tutto
quello che si svolge intorno all’evento in sè: la sua organizzazione, le
risorse necessarie per metterlo in piedi, le competenze, le informazioni su
come trovare spazi e canali per diffondere notizia al pubblico, e via dicendo. Sarebbe
più vantaggioso per tutti che giù-dal-palco ci fosse libera circolazione delle
informazioni, dei contatti e delle competenze. E che fosse invece, e solamente,
ciò che accade sul-palco a stabilire chi sia il migliore, chi abbia prodotto
qualità.
Ho anche la sensazione che giù-dal-palco sia molto
facile giocare sporco, cioè competere in modo sleale (si possono, ad esempio,
diffondere mattoncini-informazione errati, per danneggiare la concorrenza), mentre sul-palco, alla
prova del pubblico, l’arte sia l’unica arma che si possa usare per dare ragione
di sè.
I nani da giardino sono di pessimo gusto.
Perchè sopravvivono al tempo, e dietro al cancello di
qualche villetta fanno capolino e ancora bella mostra di sè? Per rendere
traghettabile verso il futuro la tradizione popolare europea, che i fratelli Grimm nel 1812 avevano reso
accessibile in una prima raccolta di storie, c’è voluta la Disney.
Primo nano: Gongolo
ovvero siamo meno furbi di quello che crediamo.
Molta cautela nel diffondere, o meglio nel non
diffondere proprio, informazioni a proposito di bandi, concorsi e via dicendo:
è un segreto di Pulcinella. Tutti sanno, ma nessuno parla, nessuno diffonde
l’informazione, perchè altrimenti “ti rubano l’idea”. Salvo poi ritrovarsi
tutti, da concorrenti, a fare la coda
per consegnare le schede necessarie per partecipare al suddetto segretissimo
bando, a guardarsi e a dirsi: oh! anche
tu qui!
Ma certo. Forse sarebbe stato meglio parlarsi del
bando in questione, che ci si poteva dare una mano a compilarlo, invece che
ciascuno per sè e dio per tutti.
Mi si obbietterà: è giusto che il bando lo vinca chi
è capace di compilare la scheda di partecipazione, che è misura anch’essa della
qualità e della preparazione della compagnia teatrale, una sorta di requisito
minimo per poter pensare di fare le cose a certi livelli.
Falso.
L’obiezione di cui sopra sarebbe accettabile in un mondo
ideale, ma oggi (e ciascuno di noi, a pensarci bene, può fare esempi precisi)
sono molti quelli che avrebbero le necessarie qualità artistiche, ma non hanno
avuto possibilità (per la crisi in primis, che toglie tempo spazio e risorse
per la formazione) di applicarsi a migliorare le competenze burocratiche per
compilare la suddetta scheda di partecipazione.
Secondo nano: Brontolo
ovvero quanto ci conviene essere ostili?
La concorrenza
giù-dal-palco, al contrario di quella sul-palco, non favorisce necessariamente
la qualità. Al contrario, la mancanza di circolazione di informazione, di
know-how, di competenze, che restano accentrate a lungo nelle mani degli
stessi, fa ristagnare la produzione artistica; che per definizione vive di
avvicendamenti e trasformazioni. Il mio pensiero va subito a tanti baroni,
abbarbicati alle loro poltrone, ai gatekeepers
che decidono che cosa deve oppure non deve vedere il pubblico; che a leggere
quello che professavano da giovani sembra incredibile che ora siano diventati quello
che sono.
Terzo nano: Dotto
ovvero punto per punto (“dot to dot”)
Nel 2011 scrivevo il Manifesto per la Non-Proprietà
Intellettuale. Lo diffondevo in Rete, e chiedevo ai miei amici di leggerlo e di
proporre modifiche, che sarebbero state inserite di volta in volta. Dunque
anche il metodo di stesura del manifesto stesso era collettivo e non
individuale. Nonostante questo manifesto cerchi di dare un punto di vista
alternativo rispetto all’origine delle idee, in un certo senso riguarda anche
il discorso sull’economia dell’informazione. Ne riporto alcuni punti.
2a -
l'uomo partorisce idee.
2b - le idee si trasformano in fatti che modificano la
realtà non solo per chi le ha partorite, ma per tutto il consorzio umano.
2c -
non sappiamo esattamente come nascano le idee, ma sicuramente non sono il
prodotto di un'attività solipsistica; piuttosto nascono dal ricombinarsi della
realtà e dall'apporto di altri punti di vista.
3 – Il manifesto per la
non-proprietà intellettuale afferma:
3a - La non-proprietà individuale delle
idee. Le idee non appartengono solo a chi le ha partorite.
3b - Se una tale
posizione estrema può sembrare irragionevole e contro natura, l'attuale sistema
per cui le idee vanno a favore di pochi e non della collettività non è certo
migliore.
3c - Una parte dei mali di oggi deriva dalla speculazione di pochi
su idee che potrebbero non solo giovare a molti, ma (e soprattutto) essere
sviluppate e crescere e diffondersi più rapidamente ed efficacemente se condivise
e lavorate da più menti, anche e soprattutto grazie alle nuove tecnologie di
comunicazione, in primis la Rete, se usata per fini di sperimentazione di nuove
aree di scambio e condivisione lontane dalle logiche commerciali e
consumistiche.
4a - E' illusorio pensare che le idee siano nostre, quando in
realtà provengono da stimoli, dialoghi, cose fuori di noi che non ci
appartengono, ma che in noi si ricombinano. Crediamo che le idee siano mezzi a
nostra disposizione, in realtà siamo noi ad essere i mezzi che le idee hanno
per nascere, ricombinarsi, diffodersi. Siamo noi ad essere cavalcati dalle
idee, e non viceversa. Inoltre, le idee ci sopravvivono.
4b - Questa
"illusione di possesso" delle idee ci deriva da aspetti psicologici
innati, oltre che da fattori culturali: il senso di proprietà e competizione
che in parte fin da piccoli ci viene trasfuso, in parte è proprio della natura
animale di cui siamo fatti.
4c - L'egoismo del voler tenere un'idea per sè e
sfruttarla solo per vantaggio personale è contro il benessere collettivo. La
teoria secondo la quale la competizione, la speculazione e l'egoismo personale
vadano, per effetto di composizione secondario, a benessere di tutti, si è
rivelata in questi ultimi anni in tutte le sue contraddizioni, e ci sta facendo
pagare un prezzo molto alto in termini di qualità della vita e felicità
personale. Inoltre, è nella normale natura delle cose diffondersi e rimbalzare
di mente in mente, come è un fatto assolutamente naturale per un'idea
contagiare altre menti, diffondersi, duplicarsi, modificarsi.
4d - Tutti noi
siamo utilizzatori di idee degli altri, e ne traiamo giovamento, anzi spesso rubiamo
le idee degli altri: ma di questo non ci facciamo nessuno scrupolo, anzi
nemmeno ce ne accorgiamo.
4e - Le idee crescono, si sviluppano e si realizzano
nel confronto con la realtà e con gli altri, che ce le restituiscono
accresciute o modificate. Senza nulla voler togliere al genio personale, se non
ci fosse la realtà esterna tale genio non avrebbe modo di trarre la materia
prima per ricombinare idee e nemmeno il campo dove poterle riseminare.
5b - Se
le idee fossero libere di circolare e non piegate a ragioni economiche, di
sfruttamento e speculazione, avrebbero maggiori possibilità di migliorarsi,
svilupparsi, e di portare bene alla collettività.
5c - Le idee lasciate libere
di circolare potrebbero, per selezione naturale tra di loro, portare più
frutti. Al contrario, le idee contro il vantaggio collettivo semplicemente non
verrebbero scelte dalla collettività.
5d - Che vantaggio ne trarrebbe il
singolo dall'aver "partorito" un'idea? Si consideri che è egli stesso
parte della collettività, nè più nè meno degli altri. Al contrario, la
consapevolezza di aver migliorato la qualità della vita della collettività (di
cui fa parte) e dunque anche la propria, dovrebbe essere il nuovo metro di
valutazione dell'importanza delle proprie azioni.
5e - Il genere umano
potrebbe fare un salto evolutivo notevole, se svincolasse le idee dallo
sfruttamento per lasciarle libere di ricombinarsi e migliorarsi e crescere.
5f
- Il momento in cui le idee sono state incatenate e hanno rallentato sia la
loro evoluzione che il loro potere pervadente nella società è stato quello in
cui si è legato il concepire idee con il diritto a sfruttarle solo per proprio
vantaggio, e non per quello della collettività. E' stato il momento in cui si è
egoisticamente smesso di condividerle, di provare rispetto per l'altro come
parte della comunità, trasformandolo in possibile fonte di guadagno.
5g - Si
può sradicare il senso di possesso delle idee pensando che chiunque di noi
poteva nascere dalla parte sbagliata del mondo, ed essere uno sfruttato invece
che uno sfruttatore. Inoltre, molto pericoloso è lo sfruttamento di cui si è
vittime inconsapevoli, e questo è diffuso in ogni parte del mondo, anche quello
chiamato "evoluto". Bisogna riconsiderare il vero significato della
parola "evoluzione".
5h - L'obiezione dell'ingiustizia: "Non è
giusto che un altro che non si è impegnato per sviluppare un'idea ne goda come
uno che invece si è impegnato a favore di essa". A questo problema, che si
può definire quello dell' "utilizzatore inerte" si può rispondere con
alcune tesi:
5h1 - La maggior parte di noi è abituata a comprare le
idee degli altri: usiamo un i-pod, ma non ci siamo impegnati per creare un
i-pod. Abbiamo forse impiegato diversamente il nostro tempo, in altre
attività.
5h2 - Ciascuno di noi decide come impegnare il proprio tempo; ma con
la consapevolezza che esso è limitato, dovremmo spingerci a portare avanti idee
utili per noi e per gli altri piuttosto che a vantaggio di pochi, e distrattive
rispetto a problemi della comunità, di cui facciamo peraltro parte.
5h3 -
Essendo il consorzio umano variegato per bisogni e tipologie, ciascuno può
contribuire con idee libere in diversi ambiti, in base alle proprie qualità e
doti personali. Anzi, è proprio grazie a questa differenziazione che molto
spesso le idee riescono a trovare i punti di vista diversi necessari per
potersi evolvere.
6a - Condivisione è la parola chiave, in grado di far
crollare il sistema che si basa su sfruttamento, conoscenza unilaterale delle
informazioni, speculazione a vantaggio di pochi.
6b - Serve coraggio per
abdicare alla proprietà intellettuale delle proprie idee, ma una visione ampia,
eterogenea e completa della realtà circostante non può che indurre a pensare
che questo sia il momento chiave per dare una svolta all'approccio dello
sfruttamento individuale delle idee a favore della condivisione delle idee per
tutto il consorzio umano.
Se nel testo qui sopra sostituiamo la parola idea con la parola informazione
il senso non cambia. Si tratta sempre di quei mattoncini necessari alla
costruzione di qualcosa.
Quarto nano: Eolo ovvero
liberi come l’aria.
Se non conoscete ancora Aaron Swartz, è il momento giusto per guardare
questo video.
Questo è il suo manifesto.
L’informazione è potere. Ma come
con ogni tipo di potere, ci sono quelli che se ne vogliono impadronire.
L’intero patrimonio scientifico e culturale, pubblicato nel corso dei secoli in
libri e riviste, è sempre più digitalizzato e tenuto sotto chiave da una
manciata di società private. Vuoi leggere le riviste che ospitano i più famosi
risultati scientifici? Dovrai pagare enormi somme ad editori come Reed
Elsevier.
C’è chi lotta per cambiare tutto
questo. Il movimento Open Access ha combattuto valorosamente perché gli scienziati
non cedano i loro diritti d’autore e che invece il loro lavoro sia pubblicato
su Internet, a condizioni che consentano l’accesso a tutti. Ma anche nella
migliore delle ipotesi, il loro lavoro varrà solo per le cose pubblicate in
futuro. Tutto ciò che è stato pubblicato fino ad oggi sarà perduto.
Questo è un prezzo troppo alto da
pagare. Forzare i ricercatori a pagare per leggere il lavoro dei loro colleghi?
Scansionare intere biblioteche, ma consentire solo alla gente che lavora per
Google di leggerne i libri? Fornire articoli scientifici alle università
d’élite del Primo Mondo, ma non ai bambini del Sud del Mondo? Tutto ciò è
oltraggioso ed inaccettabile.
“Sono d’accordo,” dicono in molti,
“ma cosa possiamo fare? Le società detengono i diritti d’autore, guadagnano
enormi somme di denaro facendo pagare l’accesso, ed è tutto perfettamente
legale - non c’è niente che possiamo fare per fermarli”. Ma qualcosa che
possiamo fare c’è, qualcosa che è già stato fatto: possiamo contrattaccare.
Tutti voi, che avete accesso a
queste risorse, studenti, bibliotecari o scienziati, avete ricevuto un
privilegio: potete nutrirvi al banchetto della conoscenza mentre il resto del
mondo rimane chiuso fuori. Ma non dovete - anzi, moralmente, non potete -
conservare questo privilegio solo per voi, avete il dovere di condividerlo con
il mondo. Avete il dovere di scambiare le password con i colleghi e scaricare
gli articoli per gli amici.
Tutti voi che siete stati chiusi
fuori non starete a guardare, nel frattempo. Vi intrufulerete attraverso i
buchi, scavalcherete le recinzioni, e libererete le informazioni che gli
editori hanno chiuso e le condividerete con i vostri amici.
Ma tutte queste azioni sono
condotte nella clandestinità oscura e nascosta. Sono chiamate “furto” o
“pirateria”, come se condividere conoscenza fosse l’equivalente morale di
saccheggiare una nave ed assassinarne l’equipaggio, ma condividere non è
immorale - è un imperativo morale. Solo chi fosse accecato dall’avidità
rifiuterebbe di concedere una copia ad un amico.
E le grandi multinazionali,
ovviamente, sono accecate dall’avidità. Le stesse leggi a cui sono sottoposte
richiedono che siano accecate dall’avidità - se così non fosse i loro azionisti
si rivolterebbero. E i politici, corrotti dalle grandi aziende, le supportano
approvando leggi che danno loro il potere esclusivo di decidere chi può fare
copie.
Non c’è giustizia nel rispettare
leggi ingiuste. È tempo di uscire allo scoperto e, nella grande tradizione
della disobbedienza civile, dichiarare la nostra opposizione a questo furto
privato della cultura pubblica.
Dobbiamo acquisire le
informazioni, ovunque siano archiviate, farne copie e condividerle con il
mondo. Dobbiamo prendere ciò che è fuori dal diritto d’autore e caricarlo su Internet Archive. Dobbiamo acquistare
banche dati segrete e metterle sul web. Dobbiamo scaricare riviste scientifiche
e caricarle sulle reti di condivisione. Dobbiamo lottare per la Guerrilla Open
Access.
Se in tutto il mondo saremo in
numero sufficiente, non solo manderemo un forte messaggio contro la
privatizzazione della conoscenza, ma la renderemo un ricordo del passato.
Vuoi essere dei nostri?
Luglio 2008, Eremo, Italia
Non è in fondo così chiaro? Il concetto di proprietà
intellettuale è stato distorto a favore della ricchezza di pochi sui molti. Non
sarebbe meglio che i mattoncini di informazione necessari per migliorare la
qualità dell’esistenza siano a disposizione di tutti?
Quinto nano: Mammolo
ovvero siamo ancora attaccati alle sottane di madre natura.
Andiamo a toccare un altro nervo scoperto del
problema.
Il naturale egoismo umano.
Cito la Rita Levi-Montalcini.
“Quello che in molti ignorano è
che il nostro cervello è fatto di due cervelli. Un cervello arcaico, limbico,
localizzato nell'ippocampo, che non si è praticamente evoluto da tre milioni di
anni fa ad oggi, e non differisce molto tra l'homo sapiens e i mammiferi inferiori.
Un cervello piccolo, ma che possiede una forza straordinaria. Controlla tutte
quelle che sono le emozioni. Ha salvato l'australopiteco quando è sceso dagli
alberi, permettendogli di fare fronte alla ferocia dell'ambiente e degli
aggressori. L'altro cervello è quello cognitivo, molto più giovane. E' nato con
il linguaggio e in 150mila anni ha vissuto uno sviluppo straordinario,
specialmente grazie alla cultura. Si trova nella neo-corteccia. Purtroppo buona
parte del nostro comportamento è ancora guidata del cervello arcaico. Tutte le
grandi tragedie - la Shoah, le guerre, il nazismo, il razzismo - sono dovute
alla prevalenza della componente emotiva su quella cognitiva. E il cervello
arcaico è così abile da indurci a pensare che tutto questo sia controllato dal
nostro pensiero, quando non è così. I giovani di oggi si illudono di essere
pensanti. Il linguaggio e la comunicazione danno loro l'illusione di stare
ragionando. Ma il cervello arcaico, maligno, è anche molto astuto e maschera la
propria azione dietro il linguaggio, mimando quella del cervello cognitivo.
Bisognerebbe spiegarglielo.”
Sesto nano: Pisolo
ovvero la propria distrazione fa l’altrui ladro.
In definitiva, tra un sistema di security through obscurity ed uno full disclosure, paradossalmente sembra essere più sicuro il secondo. Se non c’è niente da
scoprire, ma è il saper fare che
permette di portare a termine il processo, allora sarà molto difficile per chi
non ha le competenze venirne a capo. Diversamente, una cassaforte che può
essere aperta da chiunque, una volta
scoperto il meccanismo, non è molto sicura, visto che su questo pianeta
siamo ormai in tanti e prima o poi qualcuno lo troverà, il modo di scassinare
la nostra informazione-mattoncino.
Inoltre, non è detto che l’informazione che ho in mio
possesso sia adeguata ai miei bisogni. Magari sarebbe oggettivamente più
produttiva, efficace, nelle mani della concorrenza... che a sua volta potrebbe
avere, senza saperlo, informazioni a me utili. Non tutti vediamo un certo mattoncino-informazione
allo stesso modo. Non è detto che lo stesso mattoncino-informazione si incastri
bene nel mio progetto come in quello altrui.
L’unica forma di crittografia davvero efficace per
proteggere un’informazione sembrerebbe essere quella quantistica, che si basa
(semplifico al massimo) sul concetto che, nel caso in cui qualcuno intercetti
l’informazione prima del legittimo destinatario, l’informazione si corrompa e
non sia più utilizzabile (oltre che avvisare il destinatario del fatto che
lungo il tragitto dell’informazione, dal mittente al destinatario, è successo
qualcosa). Se la natura umana sembra essere egoista per quanto riguarda
l’informazione, l’universo invece non lo è affatto, anzi la elargisce a piene
mani, ne fa uno dei suoi punti di forza per evolversi. Una forma biologica che
non condivide la sua informazione con le generazioni successive è destinata ad estinguersi.
Ora che ci penso: i sette nani della favola lavorano
in una miniera. Estraggono diamanti. Tutte le mattine salutano la Bella
Informazione Addormentata e, cantando in coro quella canzone che tutti
conosciamo, prendono a picconate la roccia per cavarne fuori gemme preziose.
Che cosa ne facciano non si sa.
Settimo nano: Guerrafondaiolo
ovvero guerra e informazione vanno a braccetto.
Concludo con un esempio immediatamente percepibile
nella sua drammaticità. Nello specifico, parlo di guerre che si decidono sulla
base di mattoncini-informazioni. Slavoj Zizek, nel suo libro “Event –
Philosophy in Transit” (Penguin 2014) cita Donald Rumsfeld, allora US Secretary
of Defence, che nel febbraio del 2002, a proposito dell’intervento USA in Iraq per
porre fine al proliferare di armi chimiche, affermò: “Ci sono cose che sappiamo
di sapere; ci sono cose che sappiamo di non sapere; e ci sono cose che non
sappiamo di non sapere.” Per questo, conviene un intervento, anche se fosse: preventivo. Zizek aggiunge: manca un
caso, e cioè: “ci sono cose che non sappiamo di sapere”. Esattamente un anno
dopo: siamo nella sala conferenze delle Nazioni Unite a New York. Colin Powell annuncia
ufficialmente l’intervento degli USA in Iraq. Alle sue spalle c’è un bel
tendaggio blu. E’ solo uno sfondo? Pochi sanno che dietro a quel drappeggio, appeso
lì per l’occasione, c’è una riproduzione a dimensioni naturali della Guernica
di Picasso. Pareva brutto dichiarare imminenti bombardamenti, con quell’icona
dell’arte alle spalle, e con tutto ciò che simboleggia. Ma la Bella
Informazione è sempre Addormentata, e rari sono i principi azzurri che provano
a risvegliarla con un bacio.
Si ringrazia Pino Conson per un imput creativo determinante alla stesura
di questo articolo.
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