Introduzione
C’è modo e modo di scrivere. Prima ancora della trama e dello stile, prima (alle volte) dell’idea stessa, c’è un luogo, e un modo di stare seduti? in piedi? appoggiati? in un certo (ma anche incerto) luogo, per scrivere. Ci sono scrittori che scrivevano seduti sul letto, in posizioni scomodissime, scrittori che avevano bisogno di mettersi al lavoro in un caffè, altri che si vestivano di bianco, che cercavano il silenzio assoluto. Questo sarà il territorio che esplorerò. Proverò a scrivere – a prescindere dal testo, che sarà la descrizione di quanto sperimenterò in quel momento – in luoghi e modi molto diversi tra di loro.
Esperimenti di scrittura, 1 di 14
Al self-service
ovvero Propp e Pavlov che si danno la mano
Scrivere al self-service significa tener occupato un tavolo, mentre tutti intorno cercano un posto dove sedersi, tenendo in equilibrio i vassoi con i piatti scelti. Se il self-service è una delle mete preferite dalla gente produttiva per la pausa pranzo, si capisce bene che cosa possano pensare – avendo solo mezz’ora per mangiare – di uno che sta lì a scrivere, magari nemmeno sul cellulare (via, lo fanno tutti, è l’era del social) bensì sulla carta, cosa che lo rende ancora più fastidioso, lì a far niente accanto ai piatti vuoti del cibo che ha appena mangiato, che andasse a cercare un altro posto che noi siamo gente che lavora. Tuttavia, molto raramente al fastidio seguirà la richiesta di spostarsi, che tutto sommato ha pagato e sta quanto vuole. Il rumore di fondo tende ad aumentare in proporzione al numero di avventori, fino a stabilizzarsi attraversato dal suono di forchette e coltelli presi e posati. Se a qualcuno cade un bicchiere a terra, rompendosi, il brusio si interrompe e tutti – compreso chi scrive – si voltano verso il colpevole. Poi, e forse c’è una sorta di disinteresse che assomiglia al perdono, ogni essere umano torna a farsi gli affari suoi, riprendendo le discussioni interrotte con i commensali. Tutti tranne chi scrive al self- service, che non avendo nessuno con cui parlare al suo tavolo non può partecipare al brusio indifferente; e viceversa per quanto possa restare indifferente rispetto a quanto gli accade attorno, indifferente del tutto non lo sarà mai; e chissà come influenzerà la storia che sta scrivendo quella somma di odori di piatti pronti, scaldati al momento, primi secondi contorni frutta e dolci: se questo induca a voler descrivere tutto (e magari a disporre la storia secondo ritmi e schemi ben ordinati), oppure al contrario non faccia nascere nello scrittore il desiderio di assenza e raccoglimento. Ulteriori considerazioni da farsi sul fatto che chi scrive al self-service, essendo per forza passato alla cassa per accedere ad un tavolo e dunque avendo comprato e mangiato qualcosa, ha la pancia piena nel momento in cui decide di prendere carta e penna, in piena digestione, e sarà ben diversa la scrittura da quella di un affamato, per quanto raccolto. Durante l’esperimento di scrittura al self- service ho incontrato un’amica che sapevo lavorare lì, ma che non pensavo fosse in sala, piuttosto nelle cucine. Allora si interrompe la scrittura, si scambiano due parole, qualche giustificazione al fatto che sto scrivendo e dunque occupo posto, ma che se chiuderà un occhio la citerò nel testo: Katia Asproni, ecco fatto. Il discorso verte subito dopo sul lavoro, sulle difficoltà di questa e di quell’azienda. E lo scrivere, che si potrebbe pensare essere un vezzo, diventa invece, al contrario e proprio per questo, una grande necessità.
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