A proposito
di un albo per attori, artisti, musicisti
ovvero era più
semplice giocare con gli albi delle figurine, da piccoli
ovvero l’albo
c’è già, ma nessuno lo sa
ovvero (poi smetto, giuro) albo è sinonimo letterario di bianco, chi ci scriverà sopra?
+ Bonus track: Brevissimo Vademecum al Dilettante e
all’Amatoriale
Esiste un albo degli avvocati, un albo degli
autotrasportatori, un albo dei gestori ambientali, un albo degli scrutatori di
seggio, un albo degli architetti, un albo dei medici, un albo degli
psicologi...
Affrontiamo la spinosissima questione dell’albo. Che non è l’albo delle figurine, e sì che sarebbe molto più semplice: celo,
celo, manca. Invece, qui si va a toccare un nervo scoperto – da anni – a
proposito del riconoscimento del ruolo degli A, dove A sta per attori, artisti, musicisti anche
se la parola “musicisti” non inizia
per A, insomma tutti coloro che in
qualche modo hanno a che fare con l’arte,
che invece inizia per A. Insomma: di
tanto in tanto, qualche A auspica (sui social, oppure dal vivo chiacchierando con gli amici) che venga finalmente istituito
un albo per gli A, così che gli A
vengano riconosciuti come professionisti, con ciò che ne consegue:
1) siano tutelati con contratti degni
2) siano distinti dagli amatoriali, che non possiamo abbreviare in A perchè purtroppo anche amatoriali
inizia con la stessa lettera. A
prova dell’importanza dell’istituzione di un albo gli A adducono il
fatto che tante sono le categorie che possono vantare un albo, dai medici ai giornalisti fino alle professioni più umili, e invece loro no. Bene, dietro a questo
dato di fatto della mancanza di un albo
per A si celano (celo, celo, manca)
tutta una serie di interessanti considerazioni.
Il tenitore
dell’albo.
Chi tiene in mano questo albo? Potrebbe redigerlo un’istituzione pubblica. Terrò a bada la
mia naturale (giusta, sbagliata, fate voi) diffidenza nei confronti del potere amministrativo, tuttavia mi
chiedo quale ente potrebbe essere preposto a tale compito molto, molto delicato.
Su quali basi un A avrebbe diritto
ad essere inserito o meno nell’albo?
In base a parametri professionali, ma quali: aver frequentato certe scuole?
Pubbliche? Private? Potrebbe vedere scritto il suo nome sull’albo solo dopo aver dato un esame?
Tenuto da chi? Invito chiunque a pensare a cinque nomi, cinque figure a cui
affiderebbe questo compito con totale fiducia; anche in questo caso, il
problema sarebbe solo rimandato, perchè la gente nasce, vive, invecchia e
muore, e quindi prima o poi anche queste cinque cariche di tenitori dell’albo
andrebbero sostituite; da chi, chi le elegge?
Diritti (storti) e
doveri (dov’eri?)
Consideriamo inoltre che l’iscrizione ad un albo comporta, per i professionisti, non
solo diritti ma anche doveri: non credo che il potere amministrativo perderebbe l’occasione di usare questo albo per appositi studi di settore, che
sarebbero il primo passo per applicare tasse al lavoro degli A iscritti a questo albo. Certo, gli A le tasse le pagano già adesso, ma a fronte di un’iscrizione con
un carico fiscale ben preciso, gli A vorrebbero
qualcosa in cambio. Dunque, lo scenario sarebbe questo: avremmo un albo per A professionisti, che pagano le tasse, al quale si iscrivono
(tramite esame oppure credenziali), albo
tenuto da alcune figure di rilievo (ma elette come); dall’altro lato avremmo A
non-professionisti, non iscritti all’albo,
che queste tasse non le pagano (dunque, costano meno degli A professionisti, con tutto ciò che questo comporterebbe a
proposito della concorrenza sul mercato del lavoro). Che fare? Impedisci agli A
non-professionisti di praticare, visto che non sono iscritti all’albo? Presumi che chi ingaggia gli A
preferisca i professionisti ai non-professionisti, perchè la loro iscrizione
all’albo è una garanzia del loro
operato? Gli ingaggiatori (teatri,
compagnie, gallerie d’arte) riconoscerebbero nei tenitori dell’albo un’autorità competente nella scelta? La
tentazione di risparmiare sarebbe troppo forte?
C’è che ora
non mi importa niente / di tutta l’altra gente.
Che cosa
c’è... cantavano Ornella Vanoni e
Gino Paoli, c’è che mi sono innamorato di
te / c’è che ora non mi importa niente / di tutta l’altra gente / di tutta
quella gente che non sei tu. C’è che: se da un lato far parte di un albo permetterebbe delle class actions ben mirate, in un settore
come quello degli A che troppo
spesso si fa del male da solo con divisioni interne e gioco al ribasso,
dall’altro il concetto di arte è molto più fluido di quello della chirurgia,
giornalismo o che so io. Pensiamo a tutte le nuove sperimentazioni, alle
commistioni tra generi artistici diversi: riuscire ad inquadrare gli A in una specifica categoria è molto
difficile; perchè gli A, per natura,
esplorano e travalicano continuamente i confini del definito; creano loro
stessi nuove categorie, nuove definizioni per generi di arte performativa dal
vivo mai vista prima; sia nella pratica della loro azione artistica, sia prima
ancora nella ricerca e nello studio, molto spesso a 360 gradi rispetto a quello
di altre categorie di professionisti, rigidamente inquadrati in un percorso di
formazione professionale riconosciuto dallo stato italiano. Per non parlare del
fatto che spesso gli A si spostano
da un paese all’altro, rendendo complicato applicare il concetto di albo a paesi con ordinamenti giuridici
diversi tra di loro (un A potrebbe
essere considerato professionista a Ventimiglia, ma non a Mentone, per dire).
Di bambini
e di teoria dei quanti.
Avete mai giocato a uno-due-tre stella? E’ la stessa cosa. Il pubblico, i critici e le
istituzioni contano, voltati verso il muro: uno...
due... tre... stella! e si voltano verso gli A, che immediatamente si fermano là dove sono. Gli A vengono visti dal pubblico, dai
critici e dalle istituzioni in un preciso momento del loro movimento / percorso
artistico, piacciono o meno in quel preciso istante. Quando il pubblico, i
critici e le istituzioni si voltano di nuovo, quando non li vedono, gli A si
muovono e cercano nuove posizioni, forme, espressioni. Un albo è statico, l’arte è
dinamica; un A potrebbe avere le
credenziali per entrare a far parte di un albo
in un preciso momento della sua carriera artistica, e poi magari qualche
mo(vi)mento dopo invece no, dal punto di vista di chi gestisce il suddetto albo.
Come si fa ad espellere dall’albo
un A indegno? Questa faccenda dell’uno... due... tre... stella! ha anche a
che fare con il principio di indeterminazione di Heisenberg, per il quale non è
possibile (riduciamo all’osso il concetto) conoscere i dettagli di un sistema
senza perturbarlo osservandolo. Finchè non la osservi, non è arte; ma si evolve come arte quando non
la guardi. Pensa un po’, gli A hanno
affinità con i quanti più di quanto si potrebbe immaginare (anche per
il fatto che influenzano a vicenda senza saperlo, tra l’altro).
Prima e/o
poi.
Nonostante tutta la fiducia che si può riporre in un
gruppo ristretto di tenitori di un albo, la valutazione di chi è A e chi non è A (dunque chi ha diritto
ha stare in un albo e chi invece no)
è mutevole sia nello spazio, che nel tempo, che a seconda di chi osserva. C’è
bisogno di ricordare quali e quanti A,
nel loro tempo, non sono stati considerati A,
ed oggi invece sono ricordati sui libri? Tuttavia, questo relativismo non deve
farci perdere la speranza, e soprattutto la voglia di proporre alternative.
Iniziamo dalle istituzioni.
Vi piace la fantascienza? In un universo parallelo,
le istituzioni hanno curiosità e sensibilità. Curiosità per lasciare sempre
aperti spazi di indagine ed espressione per le nuove e vecchie forme d’arte;
sensibilià per promuovere agevolazioni e facilitazioni così che tutti gli A possano avere una base di partenza, e
un luogo dove esibire la propria arte, così che il pubblico e la critica
possano osservare, e con la loro partecipazione rivelare che cosa è arte e che cosa no. Se l’arte bella e buona è così fuggevole e mimetica, bisogna raddoppiare gli
strumenti per cercarla, dedicare il massimo dell’attenzione; come una
particella molto piccola e nascosta, di cui non si capisce molto perchè in
trasformazione e ridefinizione di sè, servono più laboratori di ricerca e tante
teste di scienziati che la pensano diversamente uno dall’altro per trovarla e
seguirla, non cinque esperti che pretendano di aver capito che cosa è.
Se l’operato di un chirurgo iscritto ad un albo è immediatamente misurabile per i
risultati del suo lavoro, il lavoro
di un A ha effetti difficilmente
misurabili: lavorando nel campo dell’arte,
produce risultati immediatamente visibili (bellezza, pubblico, critica) ma
anche risultati non misurabili, magari che saranno visti da lì a dieci anni di
distanza, oppure contribuiranno indirettamente al lavoro di altri, e via
dicendo; questo, un albo non riesce a
misurarlo.
Senza considerare gli A che dissentono: i tenitori
dell’albo li iscriveranno
ugualmente, anche se li hanno come contestatori? Davvero potranno essere così
illuminati da dare spazio anche alle voci scomode? Oppure l’albo diventerà un catalogo di A di regime, e fuori tutti gli altri?
Colpo di
scena: l’albo esiste già.
Per altri versi, esiste già un albo per gli A. Tutti lo
vogliono, tutti lo cercano, ma nessuno lo trova perchè è nel posto più
impensabile: dentro a ciascuno di noi. Sono io, spettatore, che iscrivo all’albo alcuni A piuttosto che altri;
sono io-spettatore che li sostengo andandoli a vedere, entrando magari in
contatto con loro per discutere del loro lavoro, e che racconto di loro agli amici invitandoli a seguire questi A a loro volta. Sono io-spettatore che
li sostengo con la mia partecipazione, che decido, e mi sobbarco spesso
perplesso, di quale A debba passare
alla storia e quale invece no. E’ questo l’albo
al quale tutti gli A, attori, artisti, musicisti e via
dicendo dovrebbero aspirare.
Diffidate dei poeti laureati (come li
definiva Montale ma anche Roberto Freak Antoni) iscritti all’albo della gloria, iscritti da chi non
si sa quanto interesse abbia davvero nella bellezza per il pubblico; oppure, in
alternativa, considerate le rime di Kento: e
no, non mi autocelebro / resta che in testa ho Cerbero / idee che se potessero
forse mi ucciderebbero / spiacere è il mio piacere / io amo essere odiato / con
l’arte e con la boria di un poeta laureato.
Bonus
track:
Brevissimo Vademecum
al Dilettante e all’Amatoriale
1. Alcuni affermano che il vero e proprio boom di
dilettanti e amatoriali coincida con il web duepuntozero: la comparsa dei
social (e di tutti gli strumenti user friendly annessi) è stato lo sparo di
inizio della gara a diffondere e dare visibilità di massa a contenuti
dilettantistici e amatoriali.
2. Non solo: si pensi alle forme partecipative di
produzione dal basso, e alla crisi del monopolio della conoscenza (know-how)
detenuta dalla cultura definita legittima;
si pensi al software libero, a basso costo oppure piratato che ha dato a
chiunque accesso ai mezzi per provare
a fare musica, grafica, e via dicendo.
3. Questa “democratizzazione” delle competenze, e la
libertà di accesso agli strumenti, da un lato ha allargato il bacino di utenza
attiva, dando possibilità a chi prima non avrebbe
potuto per scarsità di mezzi economici; ma dall’altro ha creato una palude
di informazione indistinta tra professionisti e dilettanti.
4. Ulteriore elemento: da un lato è stata occasione
di speculazione da parte di alcuni: penso ai concorsi letterari a pagamento per
poeti esordienti, all’editoria a pagamento, ai premi d’arte a pagamento;
dall’altro, ha incoraggiato forme d’arte partecipativa, mettendo in discussione
il concetto di “pubblico” e “partecipante”. Ha segnato la nascita dei
crossmedia e dei transmedia: ha consentito alla massa di “semplici acquirenti”
di partecipare alla stesura di un sequel, alla realizzazione di un crossover di
una serie a fumetti oppure televisiva, ai remix di brani musicali, sempre in
bilico tra la convenienza economica e pubblicitaria di tali operazioni da parte
di marchi forti, e il reale interesse ad allargare lo spettro di menti al lavoro
su un progetto creativo.
5. E che dire delle centinaia di migliaia di
fotografie caricate e condivise in Rete: spazi intimi esteriorizzati,
sicuramene carichi di significato personale emotivo? Il web duepuntozero ha
portato alla luce il desiderio umano di svincolarsi dalle catene di una vita
dall’aspetto inevitabile ed oppressivo, incastrato in un meccanismo di
produzione e consumo. Chi non vorrebbe fare l’artista, oggi?
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