L'ETICHETTATORE
ovvero: anatomia del fallimento
Dopo
le “poesie murali” di Melina Riccio (che trovate qui) e i disegni sulle cabine
di manutenzione dell’Enel dell’Anonimo Pornografico (che trovate qui), con
questo nuovo pezzo proverò a raccontare dell’Etichettatore.
E’
necessario vivere a Torino da tempo per accorgersi dell’Etichettatore, ed avere
molto spirito di osservazione. A me sono serviti anni per arrivare a capire che
certe etichette adesive viste sui muri della città non erano casuali, bensì
opera della stessa mano, di qualcuno che operava (e ancora oggi opera) in modo
sistematico.
Il
primo intervento dell’Etichettatore in cui mi sono imbattuto risale, credo, a
dieci anni fa. Alla fermata dell’autobus numero 61 avevo notato su un palo un’etichetta
bianca, di circa 5X3 centimetri, posizionata con il lato lungo orizzontale,
scritta in stampatello, probabilmente con una penna a sfera.
Non
ricordo il gioco di parole scritto su quell’etichetta adesiva, e purtroppo oggi
quel palo è stato rimosso per fare spazio ad alcuni lavori stradali di ampliamento
del marciapiede. Molti mesi dopo, passeggiando per via Po, notai un’altra
etichetta adesiva: stesso formato e stesso stile di scrittura. Altro gioco di
parole che non ricordo esattamente.
Insomma,
di tanto in tanto e a distanza di tempo mi capitava di trovare queste
etichette. Più o meno sempre le stesse dimensioni, scritte a penna a sfera,
alcune volte sottolineate con un evidenziatore giallo oppure arancione. Poi, per
un po’ di tempo, non ne vidi più. Forse c’erano e non prestavo abbastanza
attenzione, forse comparivano in zone della città lontane dai miei percorsi
abituali, forse l’Etichettatore si era preso un momento di pausa dalla sua
impresa etichettatrice.
Tornarono
alla mia attenzione quando la Stampa, il 26 agosto del 2008, riportò quel
brutto episodio avvenuto al monastero di San Colombano, a Belmonte: quattro
frati erano stati picchiati selvaggiamente da una banda di malviventi. Gli
inquirenti seguivano varie piste, e prima di trovare i colpevoli (che
osservavano da tempo i frati, e avevano intenzione di rubare i soldi delle
offerte), notarono alcune piccole etichette adesive su uno dei muri del
monastero. La foto che corredava l’articolo era quella di una delle etichette
adesive che avevo visto anch’io. Non era quella la pista corretta, non c’era
nessuna relazione tra il fatto e le etichette, ma in un lampo mi ero reso conto
che il misterioso Etichettatore operava anche fuori dai confini cittadini.
Nuovamente,
per molti anni, durante i miei spostamenti a piedi per la città non ho più
notato alcuna Etichetta Adesiva. Fa un certo effetto raccontare una storia
misurandola in “anni”, oggi che tutto è immediato ed in tempo reale.
Qualche
giorno fa, sulla porta antincendio del negozio dove lavoro, è spuntata una
nuova Etichetta Adesiva, esattamente come le altre, e sempre scritta a mano.
A
distanza di dieci anni e più dalla prima che ho notato.
L’Etichettatore
è ancora all’opera, dopo tutto questo tempo. Scatto una fotografia ed inizio a
pensare ad un pezzo che racconti questa cosa curiosa.
Vorrei
provare a ritrovare le altre che ho notato anno dopo anno per fotografarle, ma
non ho abbastanza tempo per dedicarmi a questa cerca. Eppure, sono fortunato:
per caso ne trovo un’altra dalle parti di via sant’Agostino.
Che
cosa c’è scritto su queste etichette? Da quello che ricordo delle prime
avvistate, e dalle ultime che ho avuto modo di fotografare, si tratta di giochi
di parole volgari e piuttosto
stupidi; spesso anticlericali. Si potrebbero ad un primo sguardo anche definire
opera di un omofobo, tuttavia l’accento sembra posto più sull’ipocrisia di chi
si professa contro e poi si comporta diversamente.
Un
esempio, che spesso ho ritrovato ripetuto su molte etichette:
VA-TIC-ANO
Su
molte altre etichette c’erano nomi e cognomi di persone, che naturalmente non
riporto per motivi di privacy. Su alcune si trovavano anche commenti a
proposito delle brutture del mondo del lavoro e dei nuovi contratti interinali,
ChiChiChi, CoCoCo, GuruGuruGu QuaQua (cfr Pippo Franco)
A
latere di quanto si trova scritto su queste etichette (servirebbe un campione
abbastanza ampio per poter tracciare un profilo) e del perchè lo faccia, mi
lascia allibito la costanza dell’Etichettatore. Andare avanti per anni a
compiere un’azione che... stavo per scrivere: “è senza senso, senza un
risultato effettivo”, ma mi sono fermato.
Parliamo
dunque delle azioni impossibili, e dell’anatomia del fallimento.
Perchè
un’azione fallisce?
Perchè l’obbiettivo è impossibile.
Vorrei
svuotare il mare con un cucchiaino, goccia a goccia.
Perchè l’esecutore dell’azione non è
capace di portare a termine quell’azione.
Vorrei
alzare cento chili, ma i miei muscoli non sono abbastanza sviluppati per farlo.
Perchè la società è contraria a quel
tipo di azione, e la ritiene inopportuna.
Vorrei
recintare e appropriarmi di un appezzamento di terreno, ma è suolo pubblico.
Possiamo
annoverare poi altri due fattori di fallimento:
Il fattore casuale.
La
freccia non ha centrato il bersaglio perchè un colpo di vento l’ha spostata.
La visione errata.
Vorrei
volare per lunghi tratti con un marchingegno
a pedali, ma fisicamente è impossibile.
Torniamo
al nostro Etichettatore. Lasciamo da parte le nostre supposizioni a proposito
del perchè agisca in questo modo, e proviamo ad applicare quanto scritto
proprio qui sopra.
Impossibilità fisica: se vuole tappezzare tutta la città di etichette
adesive, probabilmente siamo nel campo dell’impossibilità fisica; certo,
potrebbe anche farcela, ma consideriamo che quando avrà quasi completamente
ricoperto il quartiere di San Salvario, altre etichette a Santa Rita si saranno
staccate, palazzi già ricoperti saranno abbattuti, nuovi edifici saranno stati
costruiti.
Incapacità personale: l’Etichettatore non ha il tempo necessario per
attaccare tutte le etichette che vorrebbe: deve pur dormire, mangiare,
spostarsi da un luogo all’altro. E soprattutto, per quanto possa vivere a
lungo, non gli basterà il tempo della sua esistenza terrena per portare a
termine il suo compito.
Convenzione sociale: le etichette adesive non si devono attaccare, i
muri non sono di proprietà dell’Etichettatore, e le cose che scrive potrebbero
essere false e diffamanti. Se vuole “sensibilizzare” la città su alcune
questioni, lo sta facendo in modo inefficace. Essendo però io stesso portatore
sano? insano? inconsapevole? di convenzioni sociali, mi chiedo: nel mio
giudicarlo male sto applicando categorie che mi sono state inculcate e di cui
non mi accorgo, che ritengo scontate, oppure sono realmente convinto della loro
“giustezza”? Se l’Etichettatore è spinto nel suo agire da un’ossessione, di cui
forse non si rende conto appieno, altrettanto lo sono io nel giudicarlo,
portato da convenzioni sociali che ho assorbito in parte senza rendermene
conto.
Intermezzo:
il Gran Pertus.
In piemontese, “pertus” significa
“buco”. Il Gran Pertus è una galleria lunga 433 metri, scavata attraverso la
montagna di Chiomonte, in Val di Susa, da Colombano Romean. Per scavare questa
galleria il signor Romean ha lavorato dal 1526 al 1533, per 7 anni consecutivi,
mentre gli abitanti della valle lo schernivano e gli davano del pazzo. Oggi i
campi e i prati delle borgate di Cels e Ramats sono verdi e fertili, grazie
all’acqua che attraversa questa galleria e arriva dalla vicina Val Clarea,
dall’altra parte della montagna. Il Pertus è anche percorribile dagli
escursionisti, con l’ausilio di torce, attrezzatura e vestiario adeguati.
Sono
sicuro che al mondo ci siano migliaia di persone impegnate in progetti
assolutamente “impossibili”. Alcuni sono impossibili fisicamente, altri
destinati a fallire per incapacità naturale degli esecutori, altri invece
socialmente non accettati, perchè la società non può oppure non vuole
accogliere questi cambiamenti. E sono altrettanto sicuro che il 90% di queste
imprese “folli” falliscano senza che nessuno se ne accorga, e vadano persi
così, “come lacrime nella pioggia”.
Alcune, magari assistite
da una buona dose di fortuna, giungono invece a compimento, e allora potrebbero
essere una delle Sette Meraviglie del Mondo, grandi trasformazioni sociali,
scoperte scientifiche rivoluzionarie. Un elemento però accomuna tutte queste
opere: la costanza e la tenacia di chi le ha: prima pensate, poi tentate. L’ingrediente
senza il quale lo Stupore non si manifesta è una buona dose di non-buon-senso.
Credo
anche che esistano le I.I.I., le Inconsapevoli Imprese Impossibili, molto
diffuse e forse anche tentate da alcuni di noi; destinate a fallire nonostante
siano socialmente accettate (anzi, addirittura incoraggiate): essere felici
accumulando denaro, oggetti, notorietà; oppure il grande rimosso ma
segretamente desiderato: vivere per sempre. Il fatto che siano socialmente
accettate non è automaticamente un sostitutivo della bontà di queste imprese.
Mi
chiedo anche se: non sia uno sforzo per cui valga la pena di impegnarsi >
quello di dare più ampia possibilità affinchè le imprese impossibili-ma-importanti
abbiano impossibilità di accadere; e la casualità oppure la cecità delle
convenzioni sociali (più comode, a volte, che necessarie) non le soffochino
ingiustamente, prima che possano essere provate sul campo.
Per
concludere, tornando al misterioso Etichettatore, mi chiedo: al netto del fatto
che sia ancora attivo ed in circolazione, ed io incroci le sue etichette
adesive, perchè ora le noto meno? Oggi non giro più per le strade della mia
città come una volta? Sono più disattento? La mia percezione selettiva della
realtà ferma la mia attenzione su altro?
Aggiornamento 9 novembre 2014
Aggiornamento 9 novembre 2014
Uff... è una maledizione! Ho già scritto questo commento almeno tre volte da Gare de Lyon WiFi Gratuit, senza che Google + fosse in grado in quegli istanti di accettare il mio Non Essere Un Robot digitando la solita sequenza (inutile et insensata) di numeri dal mio tablet... Quindi, stasera finalmente di nuovo davanti al mio netbook italien, j'aborde à nouveau l'sujet, ma un passaggio del mouse sopra la pagina di Magazine fa sparire di nuovo le mie righe... è la Maledizione dell'Etichettatore, non c'è dubbio! Ebbene, stavo dicendo già da Parigi... stop, stop, stop, stop!, appena giunta alle righe: " Parliamo dunque delle azioni impossibili, e dell’anatomia del fallimento. Perchè un’azione fallisce?" Mon Dieu, attenzione, come puoi parlare proprio in questo caso di "fallimento"??? Accidenti, per il fatto stesso che tu stia a scrivere di questo misterioso at-tagueur e/o at-tagueuse su una pagina del tuo Blog d'Arte fa sì questo signore o signora abbia raggiunto in pienissimo il suo obiettivo, altro che faillite! È arrivato esattamente dove voleva arrivare, d'après moi: al punto che non solo qualche torinese lo legge sui muri, sulle cabine elettriche, sui tubi passando per certe vie cittadine, ma addirittura un giovane artista si interessa alle sue etichette così tanto da prenderne nota sul suo famigerato quadernino d'Artista, da fotografare le frasi così composte à la cachette, da realizzarne un Dossier dedicato e da parlarne per condividerlo coi suoi followers abituali sul proprio Blog! Dite pure tutto, ma non certamente che questo sia UN FALLIMENTO! (la suite par la suite... ;) )
RispondiEliminap.s. perché certe sequenze numeriche digitali sono importanti!
RispondiElimina17 6243554... voilà! :)
Ma tu proprio ce l'hai col disturbo psichico ossessivo compulsivo! Verrebbe automaticamente da chiedersi perché il DOC ti colpisca (ti coinvolga!) a tal punto, non può essere solo una questione "visitata a casa d'altri", dev'essere per forza qualcosa di "vissuto" in prima persona, non c'è versi altrimenti. Impiantiamo, dunque, un Ragionamento alla tua maniera: poniamo che l'Etichettatore sia affetto da un DOC da svariati anni, almeno da quando appiccica le sue etichette da San Salvario a Santa Rita al Gran Pertus e che ne sia assolutamente conscio e correttamente informato dal Medico Psichiatra che lo ha in cura. Ebbene? La Forma & il Contenuto delle sue etichette vengono scalfìte da questa premessa o ne guadagnano in Creatività o restano neutre, lasciate al giudizio dello spettatore??? Bè, qualunque sia la risposta, le sue Etichette sono ancora lì quasi tutte dove le ha messe. :)
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