sabato 11 gennaio 2014

Il pollice opponibile della mano e il pollice opponibile del cervello.


Ovvero: “Assemblage che vai, uomo che trovi.”

Definizione accademica di assemblage: “Composizione tridimensionale di oggetti non necessariamente artistici”. Sui libri di storia dell’arte il primo esempio di assemblage che si incontra, al capitolo dedicato agli anni cinquanta, è quello di Jean Dubuffet; si sfogliano un po’ di pagine, e si scopre che anche Duchamp, e poi Picasso, e altri ancora in seguito hanno lavorato con la stessa tecnica per produrre alcune delle loro opere. Le cose già scricchiolano e assumono contorni sfocati quando si ripensa l’assemblage in relazione al collage, oppure si incontra il ready-made: ricordate l’orinatoio-fontana?

Questa definizione accademica di assemblage non mi convince molto. Va bene che sui testi scolastici si devono dividere gli accadimenti umani in capitoli numerati e sequenziali, al netto di una storia che invece è fluida, e soprattutto collocata geograficamente e culturalmente; mi pare comunque una definizione molto generica, che si potrebbe applicare a molto altro. Azzardo: nella pratica, a tutti i manufatti. Sembra quasi che l’assemblage sia una sorta di categoria all’interno della quale si debba far rientrare tutto ciò che non quadra (dunque, non è un quadro) con altre definizioni come pittura, scultura e via dicendo.

E’ un assemblage perchè è esposto in una galleria d’arte?

Credo che la nascita del primo assemblage debba essere fatta risalire molto, molto più indietro nel tempo; e precisamente quando il primo Homo Sapiens, guardandosi la mano come se la vedesse per la prima volta, forse per un evento casuale (una ferita? un crampo? un dubbio?) si accorse di quel pollice così diverso dalle altre dita, posto in modo asimmetrico e contrario; pollice che tutti gli animali di cui era a conoscenza non possedevano così posto e strutturato. A parte la scimmia, ma lì sorgevano tremendi dubbi esistenziali, dunque meglio lasciar perdere.

Molto tempo dopo, alcuni studiosi aggiunsero al termine pollice l’aggettivo opponibile, e ne fecero una delle tappe fondamentali dell’evoluzione umana (della loro stessa evoluzione, essendo umani). Quel dito insolito apriva un mondo di possibilità di manipolazione della realtà circostante. Pollice opponibile e cervello (strumento e possibilità d’uso), influenzandosi reciprocamente su potenzialità e limiti di quell’arto che i tentativi dell’evoluzione avevano prodotto, strinsero un sodalizio che avrebbe cambiato la storia del pianeta molto più di quello che si poteva prevedere.

Un pollice opponibile per raccoglierli, un pollice opponibile per strangolarli, altro che Anelli di quel certo Signore di Tolkien.



I critici dell’arte defunti mi fanno visita come lo spirito dei natali passati, minacciosi: “Sappiamo dove vuoi arrivare, ma non tutto ciò che è prodotto dall’uomo è arte, e tra l’altro nella preistoria non si può parlare di arte vera e propria, le produzioni artistiche avevano scopi apotropaici, non per il godimento estetico.” Vogliamo parlare dunque delle finalità delle arti? Un po’ come bestemmiare in chiesa. Oggi molti collezionisti d’arte celebrano il loro rito apotropaico nei confronti della caducità della loro esistenza. Solo in modo molto più elaborato. Chi non lo fa?

Dal momento che non esiste solo la visione storica e culturale eurocentrica, su questa sfera un po’ schiacciata ai poli che è il nostro pianeta, bisognerebbe considerare, per parlare davvero di scopi delle azioni umane, anche di culture nelle quali, ad esempio, non esiste la parola arte per definire qualcosa: le cose costruite dalla mano e dalla mente dell’uomo possono essere fatte bene, con arte, oppure male. E’ il caso del modo di vedere la produzione di cose nella malesia delle origini. Ma non solo.

Sarebbe troppo pretenzioso affermare che tutto ciò che è prodotto dall’uomo è frutto di una ragionata e completa visione delle finalità per cui è stato costruito un certo assemblage. A prescindere dalla parte inconscia, gli oggetti che costruiamo possono essere nel desiderio prodotti per un certo scopo, ma avere molte più conseguenze di quelle che si tengono in considerazione. Forse che l’arte non deve servire a nulla, se non ad un godimento estetico? Non si potrebbe vendere, oppure far pagare biglietti per vederla, attribuendole lo scopo di far cassa a collezionisti e gallerie e musei e mostre. Quanta arte produce rivoluzione? Quanta invece mantiene lo status quo?

Brusca correzione di rotta: non voglio affrontare in questa sede la questione della monetizzazione dell’arte. Piuttosto, affermare: tutto ciò che esce dalle mani dell’uomo è un assemblage, tutta l’arte, e tutta la non-arte. Da una parte c’è la natura, e dall’altra tutta la produzione delle cose che non esisterebbero in natura, se non ci fosse l’uomo a costruirle, trasformando e combinando la materia in varie forme, e per vari scopi. La vernice e la tela sono oggetti non necessariamente artistici, proprio come nella definizione accademica di assemblage, prima che vengano assemblati insieme per realizzare un dipinto.



La definizione accademica non chiarisce esattamente che cosa sia allora un assemblage, ma spiega molto bene chi è che l’ha coniata, quella definizione: un modo di pensare che ha bisogno di un casellario per ordinare tutta la realtà, renderla fruibile e ricollegabile ad uno scopo; sicuramente in buona fede, ma con un livello di generalizzazione, a volte, controproducente.

Uno dei disturbi dello spettro autistico vede certi soggetti affetti da una patologia che non permette loro di cogliere immediatamente la funzionalità di un oggetto composto da più parti. Là dove per me c’è un martello, per alcuni affetti da questo disturbo neuro-psichiatrico ci sono: un pezzo di legno di forma allungata, simile ad un bastone molto corto, con un parallelepipedo di metallo montato in cima. Dunque, a latere della capacità di produrre assemblages, è chiaro che il loro uso, la comprensione dello scopo per cui sono stati prodotti, è una facoltà che risiede nelle sinapsi; e nel background culturale, aggiungo io.

Ricordo un parente che la mia famiglia ed io eravamo andati a trovare durante le vacanze estive. Ormai anziano, aveva trascorso tutta la sua vita lavorando la campagna. Venne con noi in macchina in città, probabilmente per la seconda oppure per la terza volta nella sua esistenza, e le occasioni precedenti risalivano a più di quarant’anni prima. Sgranò gli occhi quando mio padre prelevò soldi dal bancomat. Prima di vederlo in funzione, non aveva idea: a che cosa serviva quello strano apparecchio fissato al muro della banca? Vedendo uscire i contanti, disse solo: “Ma prima devi metterceli tu dentro, i soldi, no?”

Dunque, larga parte di ciò che l’uomo produce può essere considerato un assemblage, che diversamente non esisterebbe in natura; a questo punto possiamo discutere delle finalità per cui è stato costruito, e delle conseguenze più o meno palesi che questa costruzione porta all’uomo e al mondo stesso. Il primo assemblage della storia dell’uomo? Forse una rudimentale ascia. Il più recente? Una moltitudine di oggetti, ogni giorno, continuamente: mi piace pensare siano le navi spaziali, così chiudiamo il cerchio (in-quadriamo il cerchio) e abbiamo tutti in mente la prima scena di 2001 Odissea nello spazio di Stanley Kubrik.

Restano forse fuori dal discorso sull’assemblage alcune arti: la musica, il teatro. Anche se si potrebbe obbiettare che qualcuno deve pur costruire uno strumento musicale da suonare, oppure una scenografia all’interno della quale agire. E la danza, e il canto? Se proprio dovessimo inventarci alcune macrocategorie, si potrebbe parlare di Arti-che-si-fanno-senza-le-cose, Arti-che-prevedono-l’assemblage-di-cose, e la sottocategoria delle Arti-che-si-fanno-con-le-cose. Se accettiamo l’ipotesi che anche il corpo sia una cosa (tutto, oppure quasi tutto), cade l’ultimo baluardo della visione malata di onnipotenza di molta parte dell’umanità. Una cosa fatta da chi? Inizialmente dall’evoluzione; oggi, strumenti molto più raffinati del pollice opponibile (ma pur sempre costruiti grazie al pollice opponibile della mano e al pollice opponibile del cervello) giocano la loro partita nel costruire anche la cosa-uomo.



Il grande gioco del 2014!
Prova anche tu ad incasellare gli assemblages che conosci sulla tabella sottostante.



Da un lato abbiamo gli scopi di un assemblage, dall’altro le conseguenze che questo assemblage porta nell’uomo, nella società, nel mondo. Quali assemblages cadono nelle varie categorie?

Assemblage 1: noti tutti gli scopi e tutte le conseguenze.
E’ quello che desidera la scienza. Sapere il perchè di tutte le cose, e poter soppesare tutte le conseguenze. Questo vorrebbe dire sapere il perchè anche di se stessi, risolvere quel bel paradosso di Godel per cui non si può dimostrare un problema senza uscire dal problema stesso. Forse è il limite mortale dell’intelligenza artificiale, casomai arrivasse al pari di quella umana (superandola, darebbe origine a qualcosa di nuovamente non-umano, chissà con quali risposte alla domanda precedente). Anche la religione cerca di entrare in questa casella. Con un tot di misteri della fede là dove le falle farebbero affondare la nave delle credenze.

Assemblage 2: noti tutti gli scopi, ma solo in parte le conseguenze.
Un’automobile soddisfa il mio bisogno di spostarmi, arricchisce chi la produce, emette un certo numero di gas inquinanti (la sociologia contemporanea parla di: esternalità). A rifletterci per bene, produce anche altre conseguenze: traffico, un certo modo di concepire il viaggio. Si dubita: quali altre sconosciute conseguenze ha questo assemblage...

Assemblage 3: noti tutti gli scopi, ma sconosciute le conseguenze.
Un farmaco sperimentale: gli scopi sono curare una malattia, ma non se ne conoscono ancora tutte le conseguenze, e dunque va sperimentato prima di essere usato.

Assemblage 4: in parte noti gli scopi, ma tutte note le conseguenze.
La sigaretta: non so di preciso perchè fumo, sicuramente dipendenza fisica, ma anche chissà quale componente psicologica. So però che le conseguenze sono: soddisfazione di un bisogno, nefaste conseguenze alla fine. Praticamente per certo.

Assemblage 5: in parte noti gli scopi, in parte conosciute le conseguenze.
Dovrebbe essere la casella in cui si muovono tutte le speculazioni sugli assemblages umani. Nessuno può dire esattamente il perchè completo, assoluto, dell’esistenza di un oggetto, dalla scoperta/ipotesi dell’inconscio in poi. E nessuno può sapere esattamente tutte le conseguenze che, nel tempo, quell’assemblage causerà. La dinamite entra a buon diritto in questa categoria; il signor Nobel ebbe modo di sperimentarlo, amaramente.

Assemblage 6: in parte noti gli scopi, sconosciute le conseguenze.
La sperimentazione pura: sento il bisogno di fare qualcosa, so che è per soddisfare una mia pulsione, un desiderio, non so esattamente che cosa accadrà quando avrò portato a termine la mia azione.

Assemblage 7: sconosciuti gli scopi, conosciute tutte le conseguenze.
Stiamo forse parlando dell’universo? Che non sappiamo perchè esiste, ma sappiamo quali conseguenze ha per noi, in termini di leggi fisiche, a causa delle quali non si può barare sul tempo e sullo spazio. Certo l’universo non è un assemblage umano. Ma Wermer Karl Heisenberg lo sottolineò: lo sguardo cristallizza l’universo in una forma precisa (parafrasando parecchio). A proposito di bombe: in un dialogo con Bohr, nel 1941, Heisenberg non espresse alcun problema morale riguardo al progetto di costruzione di una bomba atomica; anzi, era convinto che la suddetta bomba avrebbe deciso l’esito della seconda guerra mondiale a favore della Germania nazista. In quale casella lo mettiamo?

Assemblage 8: sconosciuti gli scopi, in parte conosciute le conseguenze.
I Moai dell’Isola di Pasqua: non sappiamo esattamente perchè sono stati scolpiti ed eretti, ma sappiamo che come conseguenze hanno avuto: lo studio degli stessi, il turismo, ed un buon numero di fotografie suggestive sui social networks.

Assemblage 9: sconosciuti gli scopi, sconosciute le conseguenze.
Esiste un assemblage del quale non si sa il perchè dell’esistenza, e che conseguenze avrà? Un manufatto alieno sarebbe l’esempio ideale per questa categoria. Torniamo a 2001 Odissea nello spazio, questa volta al romanzo di Arthur C. Clarke. Forse, nessun assemblage può rientrare in questa categoria, perchè c’è di mezzo l’essere umano. Sottratto l’uomo dall’equazione, resta il mistero dell’essere, oppure del nulla.

Links a precedenti (dis)assemblages P-Ars




2 commenti:

  1. Voglio premettere, prima di commentare, una bella impressione sulla scrittura manufatta di questo post che mi ha fatto gustare con "contentezza", sí, con contentezza vera e propria e pura, ogni riga, letteralmente bevuto con gusto, come il bicchiere di Rosso Vesuviano color rubino leggermente frizzante, che accompagnava non più di due ore fa il fritto Italia crocché e la pizza pomodoro mozzarella campana basilico frescoalla nuova pizzeqia aperta vicino all'Hochiminh. Ecco, finalmente, la tua scrittura limpida, trasparente, cristallina,senza sbavature di colore né di virgole o punti fuori sincrono. Grazie, dunque, innanzitutto per questo viaggio, per la strada percorsa, dalla prima al'ultima parola, alla fine. Assemblage di segni di lettere di fonèmi di accènti. Si rincorrono, segni e significati, langue e parole desaussurianamente. Assemblage di note forzatamente digitali in questo luogo. Tanta misurata bellezza binaria, 10101101001 all'infinito finito di un lucido assemblage.

    RispondiElimina
  2. Siccome sono *precisina* mentre la tastiera del mio smartphone no e basta un digit sfioramento che ti scappa nella fretta di stare dietro al pensiero che corre avanti alla parola-che-si-fa, posto pure la versione *corretta*, tipograficamente editata sul notebook di casa, del commento qua sopra, voilà:
    "
    Voglio premettere, prima di commentare, una bella impressione sulla scrittura manufatta di questo post che mi ha fatto gustare con "contentezza", sí, con contentezza vera e propria e pura, ogni riga, letteralmente bevuta con gusto, come il bicchiere di Rosso Vesuviano color rubino leggermente frizzante, che accompagnava non più di due ore fa il fritto Italia crocché e la pizza pomodoro mozzarella campana basilico fresco alla nuova pizzeria aperta vicino all'Hochiminh. Ecco, finalmente, la scrittura limpida, trasparente, cristallina di #P-Ars #AndreaRocciolettiStudio, senza sbavature di colore né di virgole o punti fuori sincrono. Grazie, dunque, innanzitutto per questo viaggio, per la strada percorsa, dalla prima all'ultima parola, alla fine. Assemblage di segni di lettere di fonèmi di accènti. Si rincorrono, segni e significati, langue e parole desaussurianamente. Assemblage di note forzatamente digitali in questo luogo. Tanta misurata bellezza binaria, 10101101001, all'infinito finito di un lucido assemblage."

    RispondiElimina