domenica 21 giugno 2015

Un articolo paradossale sul tempo necessario per capire un’opera d’arte.

“No time for losers 'cause we are the champions”
(Queen, “We are the champions”, 1977)

ovvero

Un articolo paradossale sul tempo necessario per capire un’opera d’arte.

Ultimamente mi sono ri-trovato (nel senso che l'ho già fatto in passato) a ri-flettere (nel senso di "piegare" le sinapsi verso nuovi percorsi neurali) su quanto tempo sia necessario trascorrere di fronte ad un'opera d'arte. A quella mostra sono stato troppo poco tempo? Avrei potuto fare altro e invece ho perso troppo tempo di fronte a quell’installazione? Si potrebbe vedere la questione anche da un altro punto di vista: l’artista ha perso troppo tempo con quell’opera rispetto a quello che aveva da dire realmente? L’artista ha dedicato troppo poco tempo rispetto a quello che avrebbe potuto dire con quell’opera? Da qualche parte bisognerà pur iniziare, dunque restiamo “osservatore-centrici” e riduciamo le ipotesi a quelle che vedono sul campo due soli giocatori: l’opera e il suo osservatore.

Potrei iniziare con le obiezioni e dunque rispondere con le precisazioni di rito: alla Prima Facile Obiezione “dipende dal grado di attenzione dell’osservatore”  rispondo con un postulato: “facciamo finta” che ci siano tutte le condizioni necessarie affinchè l’attenzione dell’osservatore sia al suo massimo grado ottimale; la giusta disposizione d’animo; nessuna incombenza che metta fretta all’osservatore; una condizione fisica riposata e reattiva; nessun rumore di fondo (quindi un’esposizione non troppo affollata, il cellulare che miracolosamente non squilla proprio in quel momento).

Poi, c’è la Seconda Facile Obiezione: “dipende dall’opera d’arte”. Postuliamo ancora, quindi, che anche l’oggetto d’arte in questione sia efficace, comunicativo, ben disposto nell’emanare attorno a sè la giusta dose di contenuti.

Fatte queste premesse, si danno questi casi.

a - l’osservatore si ferma per poco tempo di fronte ad un’opera che richiede molto tempo
b - l’osservatore si ferma il tempo “giusto” di fronte ad un’opera che richiede molto tempo
c - l’osservatore eccede nello stare di fronte ad un’opera (anche se lenta) e “perde tempo”

oppure

d - l’osservatore si ferma per poco tempo di fronte ad un’opera che richiede poco tempo
e - l’osservatore si ferma il tempo “giusto” di fronte ad un’opera che richiede poco tempo
f - l’osservatore eccede nello stare di fronte ad un’opera (veloce) e “perde tempo”

Sintetizzando ancora, possiamo dire: dato un tempo necessario T2 per far sì che l’opera possa comunicare al suo osservatore un contenuto, e il tempo T1 trascorso di fronte all’opera dall’osservatore...

T1 = T2 il tempo messo a disposizione dall’osservatore è uguale a quello richiesto
T1 < T2 il tempo messo a disposizione dall’osservatore è insufficiente a quello richiesto
T1 > T2 il tempo messo a disposizione dall’osservatore eccede quello richiesto

Se invece vogliamo mettere al centro del teorema (e mantenere fisso) il tempo a disposizione dell’osservatore, e far variare il tempo necessario all’opera per “dire tutto quello che ha da dire”, potremmo affermare che...

T2 = T1 l’opera necessita esattamente del tempo messo a disposizione dall’osservatore
T2 > T1 l’opera ha bisogno di troppo tempo rispetto a quello disponibile dell’osservatore
T2 < T1 l’opera ha bisogno di meno tempo rispetto a quello disponibile dell’osservatore

Il caso T1 = T2 e viceversa è quello che definirei “stato di grazia”, immagino che sia molto raro; dietro ad una parvenza di comunicazione perfetta nasconde il fatto che tutto il dialogo tra l’opera e l’osservatore si esaurisca; se l’osservatore ripassasse di fronte all’opera, non ne trarrebbe niente di più di quello che già sa. Immaginando il rapporto tra opera ed osservatore come una relazione amorosa: una coppia stanca che non ha più nulla da dirsi.

Il caso T1 < T2 e viceversa è quello in cui uno dei due elementi in dialogo avrebbe di più da dire, ma l’altro non ha abbastanza tempo; a fronte di una incomprensione dell’opera, che avrebbe di più da dire ma “non c’è tempo” per dirlo, forse lascia aperti spiragli di “ritorno” per riprendere il dialogo e scoprire, dunque, cose che al primo impatto, e al primo tempo concesso, erano sfuggite. Una sorta di secondo innamoramento, una riscoperta del rapporto di coppia.

T1 > T2 e viceversa è il caso in cui l’osservatore ha un’aspettativa più elevata rispetto a quanto l’opera d’arte ha da dirgli, oppure l’opera ha un messaggio più conciso rispetto a quello che l’osservatore si aspetterebbe; si apre dunque la possibilità al fraintendimento, cioè al fatto che l’osservatore, perdendo tempo di fronte ad un’opera, le attribuisca significati che non ha. Uno dei due membri della coppia “si era fatto illusioni” sul loro rapporto, ed ha attribuito un valore troppo elevato ad una relazione che, di fatto, non lo aveva.

Se ipotizziamo una sommatoria di tutto il tempo necessario alle opere di una galleria d’arte oppure di una mostra, se il tempo totale messo a disposizione dall’osservatore è minore di quello necessario alle opere forse non ha capito di che cosa si tratta; ma, ripassando una seconda volta, forse potrebbe cogliere aspetti nuovi – sperando che ritorni, si ravveda, voglia provare di nuovo. Se il tempo totale dell’osservatore è maggiore della sommatoria di quello necessario alle opere, l’osservatore ha perso il suo tempo a stare in quella mostra, oppure ha compreso male il messaggio delle opere attribuendo significati oltre quelli previsti dall’artista. Se il tempo totale dell’osservatore è uguale a quello necessario alle opere la mostra oppure l’esposizione galleristica ha comunicato tutto il comunicabile, e l’esposizione è conclusa.

Dunque

T1 – T2 = 0 esposizione efficace e conclusa
T1 – T2 > 0 perdita di tempo oppure attribuzione di significati oltre quelli decisi dall’artista
T1 – T2 < 0 le opere hanno ancora qualcosa da dire, l’esposizione è ancora aperta

Date tutte queste premesse, e considerato che è impossibile al “primo colpo” stabilire quanto tempo è necessario stare di fronte ad un’opera d’arte (dunque scartiamo questa prima ipotesi), conviene: non avere la pretesa di sapere esattamente quanto tempo è necessario stare di fronte ad un’opera d’arte; paradossalmente meglio starci poco, ma tornare di nuovo una seconda volta, cercando di avvicinarsi per approssimazioni al totale del tempo che sarebbe necessario ad una piena e perfetta comprensione. E’ un po’ come giocare a “sette e mezzo”: ad ogni nuova carta chiesta al banco, aumenta la possibilità di arrivare alla soglia di valore necessaria per vincere, ma nel contempo aumenta anche la possibilità di sballare ed eccedere questo valore, perdendo la partita.

Se poi ci troviamo di fronte a capolavori che, nel tempo, sanno trasmettere illimitatamente significato, oppure sono “costruiti appositamente” per lasciare aperto uno spazio ampio affinchè sia l’osservatore a dare la sua interpretazione, capiamo il primato e al contempo il limite mortale di molta arte contemporanea; che da un lato spinge verso l’infinito il tempo necessario per essere capita (oppure non pone un limite lasciando che sia l’osservatore a decidere “quando basta”), ma dall’altro disorienta perchè smonta alla base le equazioni così radicate nell’istinto della nostra psicologia comportamentale secondo le quali il tempo è una risorsa scarsa, e deve dare risultati apprezzabili rispetto all’uso che se ne fa.

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