giovedì 16 aprile 2015

IL PIATTO PULITO - in occasione di Expo 2015

IL PIATTO PULITO – IN OCCASIONE DI EXPO 2015

Noi, lavapiatti di tutte le età e di tutte le razze, dagli innumerevoli ristoranti del pianeta,
noi che non abbiamo abbastanza tempo oppure abbastanza cultura
per riflettere sulle questioni sociali, economiche, filosofiche, storiche, psicologiche
che agli occhi degli altri, nei discorsi dei politici e negli uffici dei ministeri e sui giornali
ci rendono stranieri a casa nostra oppure cittadini a casa d’altri,
a seconda che i nostri piedi siano al di qua oppure al di là di linee di confine
decise da altri, altrove distanti nel tempo, nello spazio e nel pensiero.

Noi, lavapiatti a cui è stato concesso come favore quasi personale un lavoro,
invece che riconoscerci un diritto come esseri umani, dichiarato dalle belle parole
delle costituzioni civili delle società talmente perfette da avere bisogno di noi,
noi che per necessità - e non per scelta, come molti affermano, al massimo sfortuna –
barattiamo con un sospiro il nostro bene più grande, il nostro tempo,
con una parte infinitamente ridicolmente inutilmente piccola del denaro
che il nostro datore di lavoro incassa manipolando le leve di questo meccanismo perverso.

Noi, lavapiatti, conosciamo il colore dell’acqua, dal nome impronunciabile,
che è lo stesso da Berlino a Buenos Aires a Bangkok a Benares a Barcellona,
il colore dell’acqua sporca degli avanzi di cibo galleggiante delle cene
dei primi appuntamenti, delle riunioni di famiglia, dei ritrovi tra amici,
delle cene di lavoro, delle serate diverse dal solito: e così il cerchio si chiude,
chi paga per occupare il proprio tempo libero, chi lavora e non ha altro tempo per sé,
e chi conduce il gioco e si prende tempo e denaro, un cerchio perfetto come un piatto.

Noi, lavapiatti, immergiamo le nostre mani, troppe volte senza guanti, per fare presto,
per terminare prima dell’alba, per far contento il padrone, perché siamo in competizione
l’uno con l’altro per poterci tenere il lavoro, le mani nella melma dall’odore indescrivibile
di quello che è stato avanzato, nella somma di tutto quello che si legge su un menù,
le nostre dita liberano scarichi di lavandini, grattano incrostazioni dai piatti, per non parlare dei bicchieri e delle forchette e dei cucchiai e dei coltelli e dei tagli che ne conseguono.
La nostra acqua non ci lava bensì ci sporca, non ci disseta bensì disgusta.

Noi, lavapiatti tutti di questo pianeta, di comune accordo, potremmo all’unisono
smettere di fare bene il nostro lavoro, potremmo far sì che i piatti sembrino puliti
e invece siano cosparsi di potentissimi lassativi per elefanti, potremmo baciare
alla francese ogni singolo piatto che passa dalle nostre mani prima che i cuochi impiattino
e i camerieri servano al tavolo,  potremmo fare cose al di là di ogni immaginazione;
noi che ogni sera immergiamo le mani nello sporco di decine e decine di persone.
Laudato si’, mi’ Signore, per sor’aqua, la quale è multo utile et humile et pretiosa et casta.

Noi che da quel primo piatto del 4.000 AC, passando per l’Ultima Cena di Leonardo
fino al primo in classifica sulla guida del Gambero Rosso molte volte ci siamo chiesti
il senso di questa macchina disumana che fa dello sfruttamento una virtù da ostentare pubblicamente senza vergogna, e senza vergogna noi delle nostre mani
dal cattivo odore rovinate dall’acqua troppo calda o troppo fredda,
noi lavapiatti di tutto il mondo che torniamo a casa, a piedi, a notte fonda
per noi l’unico piatto pulito è la luna perché nessuno ci mangia sopra.



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