mercoledì 2 aprile 2014

Ci sono due prigionieri


Ci sono due prigionieri obbligati a giocare alle roulette russa
ovvero e-migriamo tutti, che ci piaccia oppure no

Andrew Ternovskiy è (o meglio, ai tempi era) uno studente russo di diciassette anni.
Un giorno, mentre sta chattando con alcuni amici via Skype, gli viene un’idea; ci lavora per due giorni e due notti, e realizza una piattaforma che, in modo assolutamente casuale, mette gli iscritti in contatto l’uno con l’altro attraverso una videochat. Quando i genitori gli chiedono che cosa stia combinando tutto il tempo davanti allo schermo del suo computer, spiega loro la sua invenzione; e questi decidono di investire l’equivalente di 10.000 dollari nel progetto del figlio. Che la storia, così come la si trova raccontata in Rete, sia solo una favoletta creata ad arte per fare pubblicità oppure le cose siano andate davvero così, ciascuno di noi può crederci o meno.

Serve un nome per la sua invenzione: Andrew si ispira ad un film visto da poco, “Il cacciatore”, dove prigionieri di guerra statunitensi sono obbligati dai loro aguzzini vietnamiti a giocare alla... roulette russa, pensa un po’. Così conia il nome Chatroulette, e lancia ufficialmente il sito in rete nel novembre del 2009.


Dopo un mese Chatroulette ha 50.000 iscritti.

Come ogni fenomeno fortemente virale, che coinvolge gli utenti e crea una nuova abitudine, aperto a possibili usi creativi, Chatroulette è stata al centro di numerose rivisitazioni e sperimentazioni. Viene citata in una puntata di South Park; circa un anno dopo l’apertura di Chatroulette, gli artisti bresciani conosciuti nel mondo come 0100101110101101.org mettono in scena un (falso) suicidio in diretta – per impiccagione – registrando le reazioni degli utenti che, di volta in volta, vengono messi casualmente in contatto con loro.


Un pugno nello stomaco: non mi riferisco alla performance “di dubbio gusto”, come è stata da molti definita, bensì al fatto che delle decine e decine di utenti che hanno visto la scena, hanno chiamato la polizia solo in...

Uno.
Sì, proprio così. 1.

Tutti gli altri utenti, a “bocce ferme”, hanno preferito tranquillamente passare oltre.

Naturalmente ci sono stati casi più scherzosi e meno truculenti: un tizio travestito da Spiderman, un altro che sembra (fisicamente parlando) una gran bella ragazza (e dunque ferma l’attenzione degli utenti maschietti, prima che premano il pulsante adibito alla ricerca casuale di un nuovo utente), e poi mostra il suo volto sfoggiando un bel paio di baffi (e dunque: immaginate la faccia degli utenti maschietti, e la corsa a premere il pulsante per passare ad altro), e molte, molte altre reinterpretazioni creative di questa videochat.





Chatroulette funziona perchè: è un gioco
(o perlomeno ha – tra gli altri – effetti simili al gioco)

Alea – per la seducente casualità dell’abbinamento con altri utenti
Mimicry – permette di “inventare” la propria immagine, e presentarsi come si preferisce
Agon – la sfida è quella di trattenere l’altro utente sulla propria videochat
Ilinx – la diretta, l’azione in tempo reale pur a migliaia di chilometri di distanza, induce a quel senso di estraniamento, supera l’impossibilità di conoscere persone se non nel raggio fisico dei propri spostamenti geografici, suggerendo all’io la possibilità di esistere, attraverso la Rete, istantaneamente ed ovunque

Altrettanto importante considerare che: così come io posso sperare di avere la fortuna di incontrare in videochat persone intessanti, qualcuno dall’altro lato sta sperando che io sia a mia volta la persona che cerca, cioè io sia la fortuna di qualcuno, dunque che io abbia le caratteristiche necessarie per soddisfare il desiderio di incontro da parte dell’altro. Se invece la sessione con me dura poco, il mio pensiero potrà essere: non sono abbastanza soddisfacente per l’altro, per questo tipo di altro che ho avuto occasione di vedere per pochi secondi, e quei pochi secondi sono bastati perchè ritenesse di poter dare un giudizio su di me, scartarmi e passare ad altro.

Le regole del gioco



E’ dunque facile imbattersi, tra un utente casuale e l’altro, in uomini che mostrano il proprio pene (meno frequentemente il loro volto insieme al loro pene). Perchè mostrarlo a utenti casuali e sconosciuti è materia della psicologia.

La casualità della messa in contatto supera, per certi versi, piattaforme social come Facebook, ad esempio. Certo posso cercare persone a me sconosciute ed inviare richieste di “amicizia” a caso, ma restarà sempre un sistema più lento e meno “casuale” di quanto invece non faccia Chatroulette. Se il limite strutturale di Facebook è quello di non avere “sorprese”, per cui l’informazione che si legge proviene sempre dalla propria - più o meno estesa - cerchia di amici, su Chatroulette si è sempre messi in contatto con sconosciuti (tranne alcune leggende metropolitane, secondo le quali mariti hanno incontrato “casualmente”  le proprie mogli su Chatroulette, con le seguenti varianti della storia: fidanzate che incontrano i propri fidanzati, fratelli con sorelle, figli con genitori, e via di seguito, attraverso tutte le possibili sfumature di imbarazzo).

Dove si gioca questo gioco

Altro aspetto interessante di Chatroulette, immediatamente dopo l’aspetto casuale della messa in contatto, è la sua assoluta a-geograficità. Chiunque, da qualsiasi parte del globo, può connettersi e superare spazi altrimenti invalicabili se non in tempi lunghi e con dispendio di risorse; naturalmente, ogni utente proviene dalla sua cultura “nazionale”, e dunque Chatroulette viene popolata dalla “nazione liquida” che vanta in un dato momento il maggior numero di contatti (che, statisticamente, saranno anche quelli con più possibilità di essere selezionati durante una sessione di incontri casuali). Attualmente gli abitanti di Chatroulette più numerosi sono gli statunitensi. Che stanno però usando una piattaforma ideata e sviluppata da un russo. Che ha preso il nome per la sua piattaforma da un film non proprio filostatunitense.

Pensare global, agire local, marcire vocal.
Nel senso: dire dire dire - comunicare - ma mai fare.

Se voglio incontrare uno sconosciuto devo mettere in atto tutta una serie di atteggiamenti comportamentali e sociali; e comunque sarà qualcuno immerso nella mia stessa cultura cittadina, nel mio stesso ambiente geografico. Con Chatroulette, seduti a casa propria, si entra in contatto con una ragazza che abita dall’altro lato del globo, ad esempio. E si è immediatamente (in senso temporale) e mediatamente (nel senso di “attraverso lo schermo)” nella casa dell’altro, e precisamente: nel luogo dove è posto l’altrui computer. Scrivanie, armadi, alle volte scorci di pareti con poster, letti usati anche per sedersi e scrivere. Il mondo di Chatroulette è fatto (tranne rarissimi casi) di stanze e stanze e stanze all’infinito, senza nessun ambiente esterno. Si viaggia da una parte all’altra del mondo, ma si trova sempre un’altra stanza, altre quattro pareti. Non esiste un fuori che liberi, un ambiente naturale da vedere e nel quale muoversi, andando “da qualche parte”, bensì solo gli appartamenti (qualcuno li definisce: corpi inorganici) addobbati, preparati, artificiali, che riflettono e rispecchiano chi li abita.




La performance

Il concetto di partenza è molto semplice.
Un utente che si collega su Chatroulette che cosa si aspetta?
Di vedere un altro utente nella finestra della videochat.
E invece, grazie ad un artificio ideato da P-Ars, vede se stesso.
In quel preciso istante, come se si vedesse in uno specchio, ed in tempo reale.

L’utente, tramite Chatroulette, vorrebbe entrare nell’intimità della casa d’altri; e invece vede casa propria, esattamente come la presenta agli sconosciuti che sono dall’altra parte della connessione. Là dove dovrebbe esserci l’altro, a riempire un’attesa curiosa, vede se stesso: è di fronte a quello che sta facendo, a come si presenta, al fatto che egli stesso è a sua volta “un altro” che qualcuno troverà, casualmente; sarà cioè lui stesso confrontato con il desiderio di trovare qualcuno, di soddisfare un’aspettativa.

Chatroulette diventa dunque uno specchio, la cui cornice è rappresentata dai limiti dello schermo: mette in evidenza, con un effetto di sorpresa, all’utente stesso la propria presenza in Rete. Tramite l’artificio della performance, la ricerca casuale dà un esito che mai, normalmente, si potrebbe ottenere su questa piattaforma: l’incontro con se stessi.

La webchat-specchio propone dunque una presenza di identità inaspettata; un immediato riconoscimento, non voluto ma immanente, una verità senza filtri su come ci si è “apparecchiati” per incontrare casualmente l’altro. Mette in un circuito chiuso un’informazione, quella dell’essersi preparati per andare in videochat, proiettando secondo dopo secondo l’immagine di sè che si vorrebbe dare; fa accadere un “effetto-specchio” là dove lo specchio non esiste, bensì esiste solo l’occhio che cerca ed osserva l’altro.

Privato, pubblico... chi ha in mano le chiavi del lucchetto

Il fatto che la webchat non abbia funzionato così come ci si aspettava, cioè facendo comparire uno sconosciuto oppure una sconosciuta nella finestra della diretta in tempo reale, fa scricchiolare la presunta padronanza del mezzo e del suo fine; produce una falla inaspettata, estraniante, insinua nell’utente il sospetto che ci sia un bug, oppure un ignoto regista che mette in atto questo trucco informatico; e per quale ragione; e soprattutto: restando celato, e mandando avanti nel suo manifestarsi solo la sua opera, e non l’immagine di se stesso.

La performance non è stata videoregistrata, bensì vissuta solo dagli utenti che casualmente si sono imbattuti in questo progetto. Effimero come tutto ciò che è live-on-line, persisterà solo nel ricordo, ed eventualmente attraverso il racconto, dei suoi in-aspettati spettatori.




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