Ci sono due
prigionieri obbligati a giocare alle roulette russa
ovvero e-migriamo tutti, che ci piaccia oppure no
Andrew Ternovskiy è (o meglio, ai tempi era) uno studente russo di diciassette
anni.
Un giorno, mentre sta chattando con alcuni amici via
Skype, gli viene un’idea; ci lavora per due giorni e due notti, e realizza una
piattaforma che, in modo assolutamente casuale, mette gli iscritti in contatto
l’uno con l’altro attraverso una videochat. Quando i genitori gli chiedono che
cosa stia combinando tutto il tempo davanti allo schermo del suo computer, spiega
loro la sua invenzione; e questi decidono di investire l’equivalente di 10.000
dollari nel progetto del figlio. Che la storia, così come la si trova
raccontata in Rete, sia solo una favoletta creata ad arte per fare pubblicità
oppure le cose siano andate davvero così, ciascuno di noi può crederci o meno.
Serve un nome per la sua invenzione: Andrew si ispira
ad un film visto da poco, “Il cacciatore”, dove prigionieri di guerra
statunitensi sono obbligati dai loro aguzzini vietnamiti a giocare alla...
roulette russa, pensa un po’. Così conia il nome Chatroulette, e lancia
ufficialmente il sito in rete nel novembre del 2009.
Dopo un mese Chatroulette ha 50.000 iscritti.
Come ogni fenomeno fortemente virale, che coinvolge
gli utenti e crea una nuova abitudine, aperto a possibili usi creativi,
Chatroulette è stata al centro di numerose rivisitazioni e sperimentazioni.
Viene citata in una puntata di South Park; circa un anno dopo l’apertura di
Chatroulette, gli artisti bresciani conosciuti nel mondo come 0100101110101101.org mettono in scena un (falso) suicidio in diretta – per
impiccagione – registrando le reazioni degli utenti che, di volta in volta, vengono
messi casualmente in contatto con loro.
Un pugno nello stomaco: non mi riferisco alla
performance “di dubbio gusto”, come è stata da molti definita, bensì al fatto
che delle decine e decine di utenti che hanno visto la scena, hanno chiamato la
polizia solo in...
Uno.
Sì, proprio così. 1.
Tutti gli altri utenti, a “bocce ferme”, hanno
preferito tranquillamente passare oltre.
Naturalmente ci sono stati casi più scherzosi e meno
truculenti: un tizio travestito da Spiderman, un altro che sembra (fisicamente
parlando) una gran bella ragazza (e dunque ferma l’attenzione degli utenti
maschietti, prima che premano il pulsante adibito alla ricerca casuale di un
nuovo utente), e poi mostra il suo volto sfoggiando un bel paio di baffi (e
dunque: immaginate la faccia degli utenti maschietti, e la corsa a premere il
pulsante per passare ad altro), e molte, molte altre
reinterpretazioni creative di questa videochat.
Chatroulette
funziona perchè: è un gioco
(o perlomeno ha – tra gli altri – effetti simili al
gioco)
Alea – per la seducente casualità dell’abbinamento
con altri utenti
Mimicry – permette di “inventare” la propria
immagine, e presentarsi come si preferisce
Agon – la sfida è quella di trattenere l’altro utente
sulla propria videochat
Ilinx – la diretta, l’azione in tempo reale pur a
migliaia di chilometri di distanza, induce a quel senso di estraniamento,
supera l’impossibilità di conoscere persone se non nel raggio fisico dei propri
spostamenti geografici, suggerendo all’io la possibilità di esistere,
attraverso la Rete, istantaneamente ed ovunque
Altrettanto importante considerare che: così come io
posso sperare di avere la fortuna di incontrare in videochat persone
intessanti, qualcuno dall’altro lato sta sperando che io sia a mia volta la
persona che cerca, cioè io sia la fortuna
di qualcuno, dunque che io abbia le caratteristiche necessarie per soddisfare
il desiderio di incontro da parte dell’altro. Se invece la sessione con me dura
poco, il mio pensiero potrà essere: non sono abbastanza soddisfacente per l’altro,
per questo tipo di altro che ho avuto occasione di vedere per pochi secondi, e
quei pochi secondi sono bastati perchè ritenesse di poter dare un giudizio su
di me, scartarmi e passare ad altro.
Le regole
del gioco
E’ dunque facile imbattersi, tra un utente casuale e
l’altro, in uomini che mostrano il proprio pene (meno frequentemente il loro
volto insieme al loro pene). Perchè mostrarlo a utenti casuali e sconosciuti è
materia della psicologia.
La casualità della messa in contatto supera, per
certi versi, piattaforme social come Facebook, ad esempio. Certo posso cercare
persone a me sconosciute ed inviare richieste di “amicizia” a caso, ma restarà
sempre un sistema più lento e meno “casuale” di quanto invece non faccia
Chatroulette. Se il limite strutturale di Facebook è quello di non avere “sorprese”,
per cui l’informazione che si legge proviene sempre dalla propria - più o meno
estesa - cerchia di amici, su Chatroulette si è sempre messi in contatto con sconosciuti (tranne alcune leggende
metropolitane, secondo le quali mariti hanno incontrato “casualmente” le proprie mogli su Chatroulette, con le
seguenti varianti della storia: fidanzate che incontrano i propri fidanzati,
fratelli con sorelle, figli con genitori, e via di seguito, attraverso tutte le
possibili sfumature di imbarazzo).
Dove si
gioca questo gioco
Altro aspetto interessante di Chatroulette,
immediatamente dopo l’aspetto casuale della messa in contatto, è la sua
assoluta a-geograficità. Chiunque, da qualsiasi parte del globo, può
connettersi e superare spazi altrimenti invalicabili se non in tempi lunghi e
con dispendio di risorse; naturalmente, ogni utente proviene dalla sua cultura “nazionale”,
e dunque Chatroulette viene popolata dalla “nazione liquida” che vanta in un
dato momento il maggior numero di contatti (che, statisticamente, saranno anche
quelli con più possibilità di essere selezionati durante una sessione di
incontri casuali). Attualmente gli abitanti di Chatroulette più numerosi sono
gli statunitensi. Che stanno però usando una piattaforma ideata e sviluppata da
un russo. Che ha preso il nome per la sua piattaforma da un film non proprio
filostatunitense.
Pensare global, agire local, marcire vocal.
Nel senso: dire dire dire - comunicare - ma mai fare.
Se voglio incontrare uno sconosciuto devo mettere in
atto tutta una serie di atteggiamenti comportamentali e sociali; e comunque
sarà qualcuno immerso nella mia stessa cultura cittadina, nel mio stesso
ambiente geografico. Con Chatroulette, seduti a casa propria, si entra in
contatto con una ragazza che abita dall’altro lato del globo, ad esempio. E si
è immediatamente (in senso temporale) e mediatamente (nel senso di “attraverso
lo schermo)” nella casa dell’altro, e precisamente: nel luogo dove è posto l’altrui
computer. Scrivanie, armadi, alle volte scorci di pareti con poster, letti
usati anche per sedersi e scrivere. Il mondo di Chatroulette è fatto (tranne
rarissimi casi) di stanze e stanze e stanze all’infinito, senza nessun ambiente
esterno. Si viaggia da una parte all’altra del mondo, ma si trova sempre un’altra
stanza, altre quattro pareti. Non esiste un fuori che liberi, un ambiente
naturale da vedere e nel quale muoversi, andando “da qualche parte”, bensì solo
gli appartamenti (qualcuno li definisce: corpi inorganici) addobbati, preparati,
artificiali, che riflettono e rispecchiano chi li abita.
La
performance
Il concetto di partenza è molto semplice.
Un utente che si collega su Chatroulette che cosa si
aspetta?
Di vedere un altro utente nella finestra della
videochat.
E invece, grazie ad un artificio ideato da P-Ars,
vede se stesso.
In quel preciso istante, come se si vedesse in uno
specchio, ed in tempo reale.
L’utente, tramite Chatroulette, vorrebbe entrare
nell’intimità della casa d’altri; e invece vede casa propria, esattamente come
la presenta agli sconosciuti che sono dall’altra parte della connessione. Là
dove dovrebbe esserci l’altro, a riempire un’attesa curiosa, vede se stesso: è
di fronte a quello che sta facendo, a come si presenta, al fatto che egli
stesso è a sua volta “un altro” che qualcuno troverà, casualmente; sarà cioè
lui stesso confrontato con il desiderio di trovare qualcuno, di soddisfare un’aspettativa.
Chatroulette diventa dunque uno specchio, la cui
cornice è rappresentata dai limiti dello schermo: mette in evidenza, con un
effetto di sorpresa, all’utente stesso la propria presenza in Rete. Tramite l’artificio
della performance, la ricerca casuale dà un esito che mai, normalmente, si
potrebbe ottenere su questa piattaforma: l’incontro con se stessi.
La webchat-specchio propone dunque una presenza di
identità inaspettata; un immediato riconoscimento, non voluto ma immanente, una
verità senza filtri su come ci si è “apparecchiati” per incontrare casualmente
l’altro. Mette in un circuito chiuso un’informazione, quella dell’essersi
preparati per andare in videochat, proiettando secondo dopo secondo l’immagine
di sè che si vorrebbe dare; fa accadere un “effetto-specchio” là dove lo
specchio non esiste, bensì esiste solo l’occhio che cerca ed osserva l’altro.
Privato,
pubblico... chi ha in mano le chiavi del lucchetto
Il fatto che la webchat non abbia funzionato così
come ci si aspettava, cioè facendo comparire uno sconosciuto oppure una
sconosciuta nella finestra della diretta in tempo reale, fa scricchiolare la
presunta padronanza del mezzo e del suo fine; produce una falla inaspettata,
estraniante, insinua nell’utente il sospetto che ci sia un bug, oppure un
ignoto regista che mette in atto questo trucco informatico; e per quale
ragione; e soprattutto: restando celato, e mandando avanti nel suo manifestarsi
solo la sua opera, e non l’immagine di se stesso.
La performance non è stata videoregistrata, bensì vissuta
solo dagli utenti che casualmente si sono imbattuti in questo progetto.
Effimero come tutto ciò che è live-on-line, persisterà solo nel ricordo, ed
eventualmente attraverso il racconto, dei suoi in-aspettati spettatori.
Nessun commento:
Posta un commento