mercoledì 29 aprile 2015
The only member of a facebook group empty 2008-2015
martedì 28 aprile 2015
Vacuum bags full of empty vacuum
I stumbled into “Vacuum bags full of empty vacuum” working as assistant cook in a restaurant - then, metaphorically, giving up part of my work as an artist in favor of a job that would allow me to earn money, for necessities. I decided to exhibit them in frames purchased from low-cost chains of furnitures, the same low-quality frames that are purchased to frame family photographs, very common in homes: I searched the proximity to everyday experience. The performance-exhibition will ideally end when a gallery or an exhibition space will propose to its visitors, completing the transformation of the Vacuum bags full of empty vacuum from everyday object to ready-made. The function of the vacuum bags would be to preserve foods in time; I chose to seal them with no content to fall back on itself the object and its function; furthermore, the shape of the installation so structured takes audiences to some general reflections, on the fringes of the personal ones that everyone can give. First, in how our society interacts with the vacuum, with the absence, with the object waterproof, in an era of continuous osmosis between different media, and strong horror vacui by the lack of information. Second, I read a novel of Moorcock during my adolescence, “Elric of Melnibonè”: the protagonist reached the extreme limit of the explored lands, and it was his move beyond this boundary to create reality step by step. That chapter of the novel had anticipated the most modern theories of Heisenberg, about the observer that collapses the function wave of a quantum making crystallize it in a defined shape; the same happens when the public casts his gaze within an artwork, by redefining it with its own experience and sensitivity.
Etichette:
art,
arte,
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vacuum bags full of empty vacuum
Ubicazione:
Haarlem, Paesi Bassi
mercoledì 22 aprile 2015
martedì 21 aprile 2015
lunedì 20 aprile 2015
giovedì 16 aprile 2015
IL PIATTO PULITO - in occasione di Expo 2015
IL PIATTO PULITO – IN OCCASIONE DI EXPO 2015
Noi, lavapiatti di tutte le età e di tutte le razze, dagli innumerevoli ristoranti del pianeta,
noi che non abbiamo abbastanza tempo oppure abbastanza cultura
per riflettere sulle questioni sociali, economiche, filosofiche, storiche, psicologiche
che agli occhi degli altri, nei discorsi dei politici e negli uffici dei ministeri e sui giornali
ci rendono stranieri a casa nostra oppure cittadini a casa d’altri,
a seconda che i nostri piedi siano al di qua oppure al di là di linee di confine
decise da altri, altrove distanti nel tempo, nello spazio e nel pensiero.
Noi, lavapiatti a cui è stato concesso come favore quasi personale un lavoro,
invece che riconoscerci un diritto come esseri umani, dichiarato dalle belle parole
delle costituzioni civili delle società talmente perfette da avere bisogno di noi,
noi che per necessità - e non per scelta, come molti affermano, al massimo sfortuna –
barattiamo con un sospiro il nostro bene più grande, il nostro tempo,
con una parte infinitamente ridicolmente inutilmente piccola del denaro
che il nostro datore di lavoro incassa manipolando le leve di questo meccanismo perverso.
Noi, lavapiatti, conosciamo il colore dell’acqua, dal nome impronunciabile,
che è lo stesso da Berlino a Buenos Aires a Bangkok a Benares a Barcellona,
il colore dell’acqua sporca degli avanzi di cibo galleggiante delle cene
dei primi appuntamenti, delle riunioni di famiglia, dei ritrovi tra amici,
delle cene di lavoro, delle serate diverse dal solito: e così il cerchio si chiude,
chi paga per occupare il proprio tempo libero, chi lavora e non ha altro tempo per sé,
e chi conduce il gioco e si prende tempo e denaro, un cerchio perfetto come un piatto.
Noi, lavapiatti, immergiamo le nostre mani, troppe volte senza guanti, per fare presto,
per terminare prima dell’alba, per far contento il padrone, perché siamo in competizione
l’uno con l’altro per poterci tenere il lavoro, le mani nella melma dall’odore indescrivibile
di quello che è stato avanzato, nella somma di tutto quello che si legge su un menù,
le nostre dita liberano scarichi di lavandini, grattano incrostazioni dai piatti, per non parlare dei bicchieri e delle forchette e dei cucchiai e dei coltelli e dei tagli che ne conseguono.
La nostra acqua non ci lava bensì ci sporca, non ci disseta bensì disgusta.
Noi, lavapiatti tutti di questo pianeta, di comune accordo, potremmo all’unisono
smettere di fare bene il nostro lavoro, potremmo far sì che i piatti sembrino puliti
e invece siano cosparsi di potentissimi lassativi per elefanti, potremmo baciare
alla francese ogni singolo piatto che passa dalle nostre mani prima che i cuochi impiattino
e i camerieri servano al tavolo, potremmo fare cose al di là di ogni immaginazione;
noi che ogni sera immergiamo le mani nello sporco di decine e decine di persone.
Laudato si’, mi’ Signore, per sor’aqua, la quale è multo utile et humile et pretiosa et casta.
Noi che da quel primo piatto del 4.000 AC, passando per l’Ultima Cena di Leonardo
fino al primo in classifica sulla guida del Gambero Rosso molte volte ci siamo chiesti
il senso di questa macchina disumana che fa dello sfruttamento una virtù da ostentare pubblicamente senza vergogna, e senza vergogna noi delle nostre mani
dal cattivo odore rovinate dall’acqua troppo calda o troppo fredda,
noi lavapiatti di tutto il mondo che torniamo a casa, a piedi, a notte fonda
per noi l’unico piatto pulito è la luna perché nessuno ci mangia sopra.
Noi, lavapiatti di tutte le età e di tutte le razze, dagli innumerevoli ristoranti del pianeta,
noi che non abbiamo abbastanza tempo oppure abbastanza cultura
per riflettere sulle questioni sociali, economiche, filosofiche, storiche, psicologiche
che agli occhi degli altri, nei discorsi dei politici e negli uffici dei ministeri e sui giornali
ci rendono stranieri a casa nostra oppure cittadini a casa d’altri,
a seconda che i nostri piedi siano al di qua oppure al di là di linee di confine
decise da altri, altrove distanti nel tempo, nello spazio e nel pensiero.
Noi, lavapiatti a cui è stato concesso come favore quasi personale un lavoro,
invece che riconoscerci un diritto come esseri umani, dichiarato dalle belle parole
delle costituzioni civili delle società talmente perfette da avere bisogno di noi,
noi che per necessità - e non per scelta, come molti affermano, al massimo sfortuna –
barattiamo con un sospiro il nostro bene più grande, il nostro tempo,
con una parte infinitamente ridicolmente inutilmente piccola del denaro
che il nostro datore di lavoro incassa manipolando le leve di questo meccanismo perverso.
Noi, lavapiatti, conosciamo il colore dell’acqua, dal nome impronunciabile,
che è lo stesso da Berlino a Buenos Aires a Bangkok a Benares a Barcellona,
il colore dell’acqua sporca degli avanzi di cibo galleggiante delle cene
dei primi appuntamenti, delle riunioni di famiglia, dei ritrovi tra amici,
delle cene di lavoro, delle serate diverse dal solito: e così il cerchio si chiude,
chi paga per occupare il proprio tempo libero, chi lavora e non ha altro tempo per sé,
e chi conduce il gioco e si prende tempo e denaro, un cerchio perfetto come un piatto.
Noi, lavapiatti, immergiamo le nostre mani, troppe volte senza guanti, per fare presto,
per terminare prima dell’alba, per far contento il padrone, perché siamo in competizione
l’uno con l’altro per poterci tenere il lavoro, le mani nella melma dall’odore indescrivibile
di quello che è stato avanzato, nella somma di tutto quello che si legge su un menù,
le nostre dita liberano scarichi di lavandini, grattano incrostazioni dai piatti, per non parlare dei bicchieri e delle forchette e dei cucchiai e dei coltelli e dei tagli che ne conseguono.
La nostra acqua non ci lava bensì ci sporca, non ci disseta bensì disgusta.
Noi, lavapiatti tutti di questo pianeta, di comune accordo, potremmo all’unisono
smettere di fare bene il nostro lavoro, potremmo far sì che i piatti sembrino puliti
e invece siano cosparsi di potentissimi lassativi per elefanti, potremmo baciare
alla francese ogni singolo piatto che passa dalle nostre mani prima che i cuochi impiattino
e i camerieri servano al tavolo, potremmo fare cose al di là di ogni immaginazione;
noi che ogni sera immergiamo le mani nello sporco di decine e decine di persone.
Laudato si’, mi’ Signore, per sor’aqua, la quale è multo utile et humile et pretiosa et casta.
Noi che da quel primo piatto del 4.000 AC, passando per l’Ultima Cena di Leonardo
fino al primo in classifica sulla guida del Gambero Rosso molte volte ci siamo chiesti
il senso di questa macchina disumana che fa dello sfruttamento una virtù da ostentare pubblicamente senza vergogna, e senza vergogna noi delle nostre mani
dal cattivo odore rovinate dall’acqua troppo calda o troppo fredda,
noi lavapiatti di tutto il mondo che torniamo a casa, a piedi, a notte fonda
per noi l’unico piatto pulito è la luna perché nessuno ci mangia sopra.
mercoledì 15 aprile 2015
SNAPSHOT @ De Peper
You can participate in deciding the destination of the fragments of the artwork, which will be sent by post at the end of the exhibition. Please, take a post-it and write on it an address where you want to send the postcard of your choice. I will send it for you.
Info & contacts:
De Peper, Overtoom 301, OT301 Amsterdam
May, 2015
Tuesday: 18.00-01.00
Thursday: 18.00-01.00
Friday: 18.00-03.00
Sunday: 18.00-01.00
Call us to reserve your place.
Call us from 4pm to 7pm at 020 412 2954 or +31 20412 2954
to make your reservation. If you come without calling, we may not have food for you.
We serve food at 7, finishing at 8.30.
But we are open at 6!
De Peper is a non-commercial, not for profit bioorganic vegan cultural kitchen run by volunteers collective, which experiments, develops and provides a subcultural platform for food, art and music.
depeper.org
https://www.facebook.com/events/876790702363977/
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Note: The addresses will not be archived nor used for other purposes
as well as the exhibition-performance.
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Ubicazione:
Overtoom 301, 1054 HW Amsterdam, Paesi Bassi
martedì 14 aprile 2015
SNAPSHOT @De Peper starts May 01, 2015 at 06:00PM
Snapshot is a sort of great remixed “still image” of the last 15 years of advertising campaigns of various kinds, with their metaphors and their imaginary, from drinks to clothing, from contemporary art exhibitions to cars, from deodorants to the awareness about social important issues; as well as the memory may remember: in fragments, to misunderstandings or with new relations of ideas, adherent or totally divergent from the initial message that the postcard advertising wanted to give. The public can participate in deciding the destination of the fragments of the artwork, which will be sent by post at the end of the exhibition.
via IFTTT
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venerdì 10 aprile 2015
mercoledì 1 aprile 2015
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